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martedì 21 dicembre 2021

Oche!

 


Ovviamente quella in foto non è un'oca.

Ma andiamo con ordine.

Domenica 19 è stata una giornata di nebbia, di quella nebbia che va dai colli piacentini fino alle piattaforme di estrazione del metano dell'Adriatico, di quella nebbia che in una fila di tre macchine l'ultima non vede la prima. E ovviamente noi eravamo a fare birdwatching sul delta del Po.

Dopo esserci riempiti gli occhi di nebbia e le ossa di freddo per tre quarti di giornata, il cielo ci concede una tregua, e il sole buca la nebbia per quella magica ora prima del tramonto. E il sipario grigio si apre lentamente sopra le valli del Mezzano.

E finalmente le vediamo. Oche. Centinaia, anzi migliaia di oche. Venute dalle vastità del nord a passare l'inverno in questo ritaglio di pianura. E dietro di loro, le gru.

Non so perché non le ho fotografate. Forse perché volevo tenere tutto per gli occhi quel poco tempo che ci restava per vederle.

Alla fine ho portato a casa solo questa foto di gru. Ma la meraviglia è ancora viva negli occhi, e aspetto un prossimo momento per tornare a vedere lo spettacolo delle oche del Mezzano.

sabato 24 luglio 2021

Ustica

Forse, una delle cose che spingono a visitare una piccola isola è l'illusione di poterla abbracciare tutta, vedere tutta, comprendere tutta. Che Ustica finisca lì dove le onde toccano la pietra, e che per un momento si possa dimenticare tutto ciò che sta al di là del mare.

L'illusione di poter, per qualche giorno, ridurre la complessità del mondo ad otto chilometri quadrati circondati da un mare di cui a stento scorgi la fine.


Ma guardando con occhi curiosi ti accorgi che quel puntino a stento visibile sulla carta è un nodo di una rete ben più grande, che lega tra loro pietre e acque, piante e animali, uomini e donne da una sponda all'altra del Mediterraneo. Mediterraneo che è, ed è sempre stato, più una strada che una barriera; Mediterraneo che unisce i popoli e le storie lungo le sue sponde più di quanto lo facciano le montagne che dividono le nazioni su di esso affacciate.

E' un nodo di pietre, lava e lapilli vomitati dal fondo del Tirreno mentre brandelli di Europa si spostavano a est, abbracciando l'Africa per formare l'Italia.

E' un nodo di rotte migratorie per gli uccelli che, dopo il deserto, attraversano il mare per raggiungere la loro Primavera. E nei millenni qualcuno di loro ha deciso anche di fermarsi, e di scegliere questo angolo di mondo come casa.

Pigliamosche, rocca della Falconiera

E' un nodo dove si intrecciano i fili delle vite vissute sott'acqua e sopra l'acqua, dove il marangone dal ciuffo attende sugli scogli di tuffarsi tra le castagnole, le donzelle pavonine e le cernie brune.

Marangone dal ciuffo, cala Sidoti

Castagnola, grotte di Ustica

E' un nodo di storie di uomini e donne, che già tre millenni fa costruivano la loro fortezza sulle scogliere di quest'isola; di uomini e donne che per motivi ormai dimenticati abbandonarono poi la loro casa prendendo la vita del mare. Di uomini e donne che si spostarono da un'isola all'altra portandosi dietro i loro santi, i loro nomi e la loro lingua. Di storie di pirati e di fortezze, di pietre deposte dai manovali dei Borbone e dai confinati del fascismo. Di storie di chi sull'isola ci è nato e ci rimane, di chi ha qui le sue radici ed è tornato a cercarle, di chi la incontra per la prima volta e di chi se ne è innamorato e ogni anno torna a respirarla.

E oltre a cogliere un briciolo di tutto questo, Ustica mi ha regalato ancora qualche momento di quella libertà che ho imparato a conquistarmi sul mar Rosso, quando sospeso tra l'aria e l'acqua voli spinto dalle pinne, con un cielo azzurro sopra e un cielo azzurro sotto, ognuno pieno di straordinaria vita.







mercoledì 27 febbraio 2019

Seguite il Nibbio Bianco


Bassa modenese, domenica mattina, nemmeno troppo presto.

Abbiamo abbandonato un'escursione in mezzo ai calanchi parmensi e fatto un'ora e mezza di strada per cercare di vedere Lui, il Nibbio Bianco, che - abbiamo sentito dire - sta passando l'inverno in queste pianure.

La strada diventa sterrata: la macchina avanza tra pianure e campi fino all'orizzonte sollevando una nuvola di polvere, tra le canne gli uccelli prendono il volo accanto a noi, un po' come se fosse un piccolo safari padano.

Il navigatore dice che ci siamo quasi: parcheggiamo la macchina, binocolo al collo e cannocchiale in spalla, e ci avviamo a piedi. E' una domenica di cielo sereno, e la luce accecante, il giallo delle canne secche intorno, la pianura vuota di gente e piena di silenzio, il tepore del sole ti fanno chiedere se sia inverno o se sia agosto. Se non fosse per l'aria pungente e gli strati di vestiti addosso, ci si potrebbe davvero perdere nel tempo, qui.

Ci guardiamo intorno: il posto è questo, dev'essere qui. Guarda, quello è proprio l'albero su cui - dicono - di solito si posa. Eppure di lui non c'è traccia. Una coppia di gazze, quasi per conferma, va a prendere possesso dell'albero.

Pazienza, lo aspetteremo, magari è a caccia da qualche parte e arriverà.

Magari invece è partito, e non lo vedremo mai.

Ci guardiamo intorno, inganniamo l'attesa. Campi, canali, filari di alberi spogli. Un casolare, pali del telefono, un piccione posato sui fili che guarda in basso.

Un piccione che guarda in basso?

Guardo a binocolo. E' lontano, è controluce, ma il dubbio c'è. Apro il cavalletto, punto il cannocchiale: il becco da rapace, l'occhio rosso dicono che è proprio Lui!

Cinque minuti di puro, silenzioso, frenetico entusiasmo, guardiamo, scattiamo a ripetizione, bisbigliamo commenti adoranti quando si tuffa verso terra e risale, infine si tuffa di nuovo e sparisce dalla vista.

Poco dopo iniziano ad arrivare altre macchine: la notizia girava, altri vengono a cercare una foto con l'ospite eccezionale, ma lui non si fa più vivo. Con un pizzico di soddisfazione per essere stati gli unici privilegiati ad averlo incontrato, lasciamo il campo agli altri, e ce ne andiamo a proseguire il nostro safari lungo le strade che costeggiano la palude.

Ci fermiamo ad ogni squarcio tra le canne: bianco di aironi, di cigni e di cicogne, riflessi verdi sul nero dei mignattai, il lungo becco curvo tra le canne degli ibis sacri, e più piccoli, quasi invisibili i beccaccini che si muovono tra il fango. Un gran frullare d'ali: prima venti chiurli si alzano dallo specchio d'acqua, poi è la volta delle pavoncelle, e infine centinaia di oche ci sorvolano, per poi posarsi di nuovo e passeggiare tra i prati.







Beviamo con gli occhi tutta questa natura e, proprio quando pensiamo di esserne sazi, appare una magnifica femmina di falco di palude che si concede in un volo lento e potente davanti a noi, tra il chiassoso disappunto delle folaghe.

Stiamo per andarcene, ma la palude vuole stupirci ancora: piumaggio grigio ghiaccio, "mano" nera, un maschio di albanella reale sfiora le cime delle canne; lo seguiamo, cercando di non perderlo di vista e di goderci quest'ultimo regalo.

Ormai è ora di partire: salutiamo la palude, lasciamo i fotografi e le loro auto alla ricerca di una difficile foto di un Nibbio Bianco lontano e in controluce, e ci avviamo lungo la strada di casa.

Quasi per abitudine, il binocolo punta verso un uccello posato lontano, che subito spicca il volo e si avvicina. La prima cosa che penso è che è un uccello che non ho mai visto. Almeno, mai prima di oggi. Quando si posa a breve distanza da noi, in cima ad un albero in luce perfetta, guardandoci dritti negli occhi, quasi quasi non ci crediamo, e scoppiamo a ridere: è ancora Lui! Alla faccia dei fotografi fermi da ore a cercarlo, il Nibbio Bianco ha voluto raggiungerci per un ultimo saluto!



La montagna è maestosa, bella, selvaggia, piena di vita, ma in un certo senso è prevedibile. Questa piatta distesa di campi e case e strade che si stende alle due sponde del Po, invece, ti stupisce con l'inaspettato. E' tutto fuorché incontaminata, è percorsa da secoli di popoli, usata, riusata, abbandonata e ripresa, modellata, bonificata e coltivata, protetta e distrutta quasi senza logica. Eppure è capace di sorprenderti con un incontro straordinario come questo.

E se il Nibbio Bianco è una rarità - per i birdwatcher accorsi a vederlo - o se preferite un solitario che si è perso, a migliaia di chilometri da qualsiasi altro individuo della sua stessa specie, attorno a lui la pianura continua a custodire uno spettacolo di oche, cigni, aironi, ibis e tutti gli altri pennuti, pelosi, squamosi, fotosintetici esseri che intrecciano le loro vite con le nostre, ai margini delle nostre, quasi senza farsi notare.

Noi abbiamo cercato il nostro Nibbio Bianco: l'abbiamo trovato. Ma soprattutto abbiamo trovato un luogo speciale di questa nostra pianura, e siamo riusciti a condividere un po' di bellezza del mondo - oltre che un abbondante piatto di tagliatelle.

Un saluto, e l'augurio che ci sia, ancora, un nuovo Nibbio Bianco da cercare.



Foto di Margherita Calcagno

domenica 25 dicembre 2016

Una chiesa di tappi di sughero


Una chiesa di tappi di sughero.
Mattoncino su mattoncino, tagliati, disposti e incollati a costruire un modello in scala della chiesa di Bellena di Fontevivo. Ma la cosa più importante - per me - è che è fedele anche all'interno. Banchi, altare, cero, fonte battesimale intagliati nei tappi di sughero, quando il modello sarebbe già stato bello solo con l'esterno. Ma Geremia no, non ha voluto che fosse un modello vuoto dentro, lo ha fatto pieno. Anche se per vedere il lavoro fatto occorre sollevare il tetto.
Questo nuovo pezzo del presepe è uno dei più bei regali che ci ha fatto questo Natale. L'amore si può raccontare con diversi linguaggi, dicevamo pochi giorni fa, e penso che questo sia un messaggio piccolo e potente di amore. Che racconta una storia, la lega ad una più grande e le regala alla nostra, attraverso i pezzetti di sughero, di tempo e di attenzione incollati insieme.

E mi chiedo: in quello che dono, che dico, che faccio, mi sto dando il tempo e la pazienza di mettere amore anche all'interno?

giovedì 16 ottobre 2014

Si parte!

Prima ancora che il vento porti fresco e pioggia,
prima dei colori del bosco e del bramito dei cervi,
prima che la sera salga la nostalgia del sole
e prima ancora del profumo dei porcini,

è la voglia di vita che hai dentro a dirtelo, che devi partire:
quella voglia di vita che non sa più dove correre,
e allora diventa voglia di correre;
quell'amore traboccante per il mondo,
in un mondo che sembra aver dimenticato l'amore;
quella voglia di cantare, e di trovare ancora intorno un mondo che canta.

E allora devi partire,
lo sai che devi partire,
e te lo dice qualcosa di più profondo della ragione,
più antico del cuore e persino di queste montagne,
più potente di tutta l'acqua e il vento e il sole di questa terra.

E ti senti dentro il coraggio di superare tutto,
persino la morte se si presenterà;
e ammiri il coraggio di chi invece resta,
di chi crede che in questo inverno troverà ancora sole.

Si parte, quindi. 
Arrivederci, ad una nuova primavera!

martedì 8 aprile 2014

Io non ti ho mai vista, Primavera.

Io non ti ho mai vista, Primavera.
Mai, prima di oggi.
Mai, come ti vedo oggi.

C'eri,
come ci sei ora,
dalle prime margherite,
dalle macchie pallide di primula nel sottobosco bruno,
nella corsa alla vita dei giorni freddi della veronica e del lamio,
nella veste color neve e sole dei prati,
quand'è il turno della margherita e del tarassaco;
fino all'esplosione di cascate verdi, dal basso e dall'alto,
quando erbe vecchie e nuove, spighe e capolini,
si lanciano verso la luce, sotto i rami che tornano a vestirsi.

C'eri,
come ci sei ora,
dall'arvicola in mezzo alla neve
che sfida uomini e freddo per un po' di sole e di cibo;
dai caprioli che si coprono di rosso,
dalle prime api infreddolite
fino al ronzio delle osmie in cerca di casa,
e al volo delle libellule sugli stagni.

C'eri,
come ci sei ora,
dai codibugnoli che imbottiscono il nido,
dal giorno del primo merlo che canta,
che diventano poi due, dieci e infine una città intera.
In chi è rimasto e in chi ritorna,
e in chi ancora ha molta strada da fare.
Nel canto delle capinere all'alba,
nel chiasso degli storni,
fino alle rondini che riempiono il cielo di voglia d'estate.

Primavera,
oggi ti ho vista
più bella di ieri
più viva che mai.

Passo passo,
lascia che scopra
quell'immenso che ancora non so.



martedì 12 novembre 2013

In una notte di novembre

Fermo sul prato, guardo il cielo.
La città è spesso avara di stelle, ma questa notte sembra averla presa in prestito da qualche sua collina.
E soprattutto, stanotte il cielo mi ha chiamato.
E, sai, quando è il cielo in persona che ti chiama, magari è il caso di rispondere.
Non che mi abbia detto niente, eh: è stato semplicemente uno sguardo.
Non è nemmeno tardi, torno da una cena, ma prima della mia porta guardo in su. E c'è un cielo che mi guarda. Non ho fretta, né motivi per rifiutare: stanotte i Signori Grigi non sono in zona.
E quindi sono fermo sul prato, e guardo il cielo.
Senza eventi speciali, sento il fruscio di una pagina nuova della mia storia.
Sento la gelida vitalità delle veglie, persino, chiarissimo, il profumo del nardeto alpino sotto i piedi. Momenti lontani anni e chilometri, nell'attimo di bellezza mentre apri e chiudi la scatola dei ricordi.
Non ancora la meta, ma la strada l'ho trovata, credo, su cui calcare i miei passi da domani.

mercoledì 25 settembre 2013

Questa imprevedibile vita

La vita è straordinaria, per come ti sa stupire.
Per come ti fa regali meravigliosi proprio quando meno te lo aspetti.
Comincio a pensare che, se hai la pazienza e la forza di osservarla così com'è, senza farti illusioni, senza voler per forza ricondurla a un tuo schema delle cose, puoi trovare un mondo di bene e di bellezza in tutto, anche nei momenti più difficili.
Hai presente il "messaggio di tenerezza"? Quando il Signore dice, quando vedi una sola serie di impronte, nei momenti più difficili, sono io che ti ho tenuto in braccio.
Ecco, comincio a credere che sia proprio così. Che quando ti aspetti che la vita di sbatta addosso il suo volto più truce, scopri che truce è solo il modo in cui la dipingi tu.
Che in realtà ti sta dicendo "alzati, è ora di partire, c'è una nuova tappa che  ti sta aspettando".
Mi sento sempre meno cattolico e sempre più credente.


Foto di Marco Tarasconi

sabato 1 dicembre 2012

E tu?

- E tu, cosa sei? -
La domanda la lasciò senza parole, a guardare a occhi spalancati e bocca mezza aperta quel muso felino che la osservava. Nella voce di Ben c'era solo curiosità, ma la sgradevole sensazione di non avere una risposta, una vera risposta, la sbigottiva.
- Una... Un essere umano. - rispose, non troppo convinta che fosse questo che il gatto chiedeva.
- Questo, cara mia, lo vedo anche da me - disse infatti - ma, dimmi, che cos'è che fa un essere umano? -
Che cosa vuoi che faccia - pensò irritata - studia, lavora, si fa una famiglia... - ma i suoi pensieri si spegnevano davanti a tutte quelle paia di occhi: sapeva che ognuno era venuto lì interrompendo qualcosa, la cerva aveva partorito da pochi giorni, Ferlan forse era a volteggiare alla ricerca di qualche serpentello, gli orsi, lo stesso Ben... Ok, forse la domanda è questa, che senso abbiamo noi nel mondo? Qual è il nostro posto?
- Mmm... Lo ammetto, Ben, mi hai colto in castagna. Non lo so. Non so risponderti. Forse alla fine l'uomo non fa nulla di utile, forse siamo davvero un "cancro della Terra" come diceva Rwendra... -
- Tesoro, non sminuirti così - fece la voce profonda di Zio Orso - Io penso che tu sia fortunata. Molto fortunata. Non sai chi sei, cosa fai, e così te lo puoi inventare. Puoi essere quello che vuoi. A me non sembra poco. L'importante, è che tu lo decida.

mercoledì 18 luglio 2012

La corsa di primavera

Era una perfetta notte bianca, come dicono. Tutta la vegetazione pareva fosse cresciuta di un mese dalla mattina. Il ramo che il giorno prima aveva le foglie gialle, stillò linfa quando Mowgli lo ruppe. Il muschio s'increspava folto e tiepido sotto i suoi piedi, l'erba nuova non aveva i margini taglienti, e tutte le voci della Giungla risuonavano come la corda bassa di un'arpa tesa dalla luna, la luna della Parlata Nuova, che riversava la sua luce piena sulle rocce e sulle pozze, scivolava fra tronco e rampicante e filtrava tra milioni di foglie. Dimenticando la sua tristezza, Mowgli cantò forte, invaso dalla felicità, mettendosi in cammino. Pareva che volasse più che corresse, poiché aveva preso il lungo pendio che scende alle Paludi del Nord, attraverso il cuore della Giungla, dove il terreno elastico attutisce il rumore dei passi.
Quando era stanco di camminare sul terreno, alzava le mani, come le scimmie, al rampicante più vicino e pareva che nuotasse più che si arrampicasse, fra i rami sottili da dove prendeva una via fra gli alberi finché cambiava idea e si slanciava a terra di nuovo, descrivendo una lunga parabola tra le fronde.
Così correva, talvolta gridando talvolta cantando fra sé, la creatura più felice di tutta la Giungla quella notte, finché il profumo dei fiori l'avvertì che era vicino alle Paludi che si stendevano lontano al di là degli estremi territori di caccia.
 R. Kipling, Il secondo libro della Giungla

lunedì 20 febbraio 2012

Un capitolo senza nome di un libro che non esiste

[...]
Con la fronte bagnata di sudore, Nebbia arrancava risalendo il pendio, alzando gli occhi tra un passo e l'altro verso i sandali logori del druido.
Si portò la mano alla Spilla del Canto, e sbuffò vedendola inerte e opaca: "Non c'è magia in questo posto!".
Il druido si fermò, voltandosi, e fissò Nebbia negli occhi. Dopo un attimo, senza dire nulla, alzò lo sguardo al cielo, inspirò a fondo, come per bere il vento leggero che accarezzava quei crinali, e disse, riprendendo la salita: "Forse, semplicemente, non la vedi. Vieni, non manca molto."
La neve si era sciolta quasi del tutto, lasciando scoperti i bassi cespugli di mirtillo, e i ciuffi scoloriti del nardo che si riprendevano dal sonno invernale. Ovunque, in quel manto giallastro, spuntava il violetto dei crochi.
Come aveva detto il druido, poco dopo raggiunsero la sella, e i capelli di Nebbia ondeggiarono nel vento che lì soffiava più deciso. Sentì un brivido corrergli dalla pancia alle punte delle dita, nel vedere l'orizzonte spalancato davanti a lui: oltre la sella, la montagna precipitava verso il basso per quasi mezzo miglio di altezza e, sotto, si stendeva una coperta di colline boscose, punteggiata, qua e là, dai sottili pennacchi di fumo di qualche villaggio degli gnomi.
Il suo sguardo seguiva la valle del Tresirene fino al Mare di Diamante, e là dove il fiume si gettava nel mare si scorgeva il luccichio delle guglie di Demetra. La foschia marina ostacolava un po' la vista, ma gli sembrò di scorgere, all'orizzonte, il profilo montuoso dell'Isola di Là.
Si accorse che la sua guida lo stava aspettando lungo la traccia che seguiva il crinale, sulla destra, e si rimise in marcia.
Raggiunsero, poco sotto la cima del monte, una conca - una piccola dolina - e si sedettero su due rocce, tiepide dal sole primaverile che le scaldava. Il druido tirò fuori dalla sua sacca due pagnotte - pane fatto a mano, cotto al calore di un fuoco di legna, senza che vedesse l'ombra di un Forno delle Fate - e ne diede una al ragazzo. Con un coltello da cacciatore tagliò due fette di formaggio di capra, e mangiarono in silenzio, ascoltando il mondo intorno a loro.
L'unico rumore era quello del vento: non una voce, non un fischio di Nubinave. Un uccellino scuro - un codirosso spazzacamino - gironzolava su e giù dalle rocce, alla ricerca di insetti.
"E tu continui a dire che qui non c'è magia?" chiese ad un tratto il druido.
Nebbia lo guardò, e allargò le braccia. Non sapeva cosa rispondere. "E dove sarebbe?"
"Qui!" rispose l'uomo, indicando il codirosso, con un sorriso che dipinse sulla sua faccia indurita un labirinto di rughe: "Quella è magia!"
"Vedi," continuò "voi, forse, siete maghi che non conoscono più la magia.
La usate, sì, in modo potente, violento addirittura.
Volete fare tutto con la magia, controllare tutto.
Avete stregoni che controllano il tempo atmosferico per arrivare ad avere otto raccolti all'anno, maghi che studiano mappe della Trama sempre più complicate perché ormai non c'è più spazio per teletrasportarsi, addirittura la Cupola, maghi che controllano altri maghi... Chiedete a questa cosiddetta magia sempre più potenza, con l'unico obiettivo di estrarre altra potenza magica. Addirittura vivete le vostre vite per trovare nuovi modi di ricavare potenza magica. E in tutto questo, vedete le vostre luci affievolirsi di anno in anno, le vostre evocazioni farsi più effimere, i vostri fuochi hanno bisogno di sempre più energie per ardere.
E c'è anche chi impazzisce, perché crede che la magia stia arrivando alla fine, e che non ci sia più nulla dopo.
Ma forse voi vi state solo accanendo a succhiare i rimasugli di un frutto, dimenticandovi dell'albero che l'ha generato.
Vedi, le leggende parlano di altri mondi, mondi dove la magia, così come la conosci tu, non esiste. Mondi dove non puoi parlare attraverso una Spilla del Canto, dove non esiste il teletrasporto, dove per procurarti da vivere puoi fare i conti solo sulla tua intelligenza e sulla forza delle tue braccia. Sì, proprio come faccio io." Sorrise il druido, accarezzando il bastone. "Eppure, la magia esiste anche in questi mondi.
Guarda: anche il mago più grande, può creare quel codirosso? Sì, forse ne può evocare uno, ma non quello. Non proprio quello, nato in quel nido all'ombra di quel cespuglio, quel giorno, probabilmente di un anno e mezzo fa. E puoi forse, con tutte le capacità magiche di questo mondo, controllare tutti i codirossi di queste montagne? E tutti i crochi che abbiamo visto salendo fin quassù? E tutti gli alberi, gli stagni, le nuvole, gli animali di questo mondo?
E, forse puoi riuscire a modellare una piccola collina, con grande dispendio di energie. Ma nel frattempo, il vento e la pioggia in tutto il resto del mondo avranno fatto molto più lavoro di quello che hai fatto tu, e senza che nessuno li guidasse.
Così, tutte le forme di vita nascono, crescono, cercano il cibo, fanno le loro danze nuziali, si accoppiano, vivono e muoiono senza che ci sia nessuno a controllarle, a guidarle, a dire loro cosa fare, e come.
Non è, questo, molto più grande, immensamente più profondo e potente di tutta la magia che finora hai studiato? Non è magia anche questa? Una magia che appartiene a tutti i mondi, indipendentemente dal fatto che un mago, con qualche formula magica, ne imbrigli alcuni aspetti per i suoi scopi?
Ripensa a ieri, al parto della capra: con le tue mani, hai portato alla luce una creatura nuova, che non esisteva, e che non sparirà nel giro di qualche ora - sempre che un lupo affamato non passi nei dintorni! E tutto questo, senza richiedere nulla alla magia, se non quello che naturalmente compie ogni giorno, per tutte le creature dell'universo."
Si fermò un attimo, come per riprendere fiato, o per lasciar calmare le acque agitate dei suoi pensieri "Non ho risposte per questo mondo, sono qui per cercarle, dopotutto. Ma credo che la cosa più urgente sia ritrovare l'albero da cui proviene il frutto, riscoprire la magia che è nel mondo e che noi non controlliamo, capire come anche noi, dentro questa magia, siamo rami di un unico albero, flutti di un unico fiume, parole di un unico Libro."
Poi tacque, e si distese a guardare il cielo, mettendosi uno stelo secco tra le labbra.

Nebbia fece lo stesso, e rimase ad osservare le nuvole correre sopra di lui. Ripensò al capretto, alla fatica della notte in cui avevano guadato il torrente, a come si era sentito perso senza la sua Pietra del Richiamo, ai suoi compagni di accademia, a lui bambino, insieme alle sue sorelle, giocare nei campi di nonna Raggio di Sole, e un profumo di crostata di more...
Il sole faceva scintillare la sua Spilla del Canto: "Forse è inutile" pensò "adesso, per parlare con papà, con gli amici, per dir loro che sono vivo, sto bene, ma..." e la avvicinò alle labbra, come per sussurrare un bacio.

Molte centinaia di miglia più a ovest, una ragazza ebbe un brivido, nel sentire - o almeno così le era sembrato - un tocco leggero e un profumo conosciuto sulla sua pelle. Probabilmente era stata solo un'impressione, ma nei suoi occhi scintillò un sorriso.

lunedì 3 ottobre 2011

Una bozza ritrovata per caso...

Diversi milioni di uomini e donne, attraverso storie incredibili e mozzafiato, stanno guadagnandosi il pezzo di pane con cui - forse - sopravviveranno fino a domani, mentre facciamo finta di vederci, seduti in mezzo ad altra gente che non conosciamo, chiedendoci come potremmo passare le prossime serate.

A volte riusciamo anche a spezzare la pigrizia e l'imbarazzo e ci diciamo in un abbraccio la voglia di conoscerci, scoprirci, amarci, condividere questa vita.

Sappiamo di cosa abbiamo bisogno?

Io, forse.

I lenzuoli puliti contro la pelle quando ti infili a letto.
Il profumo dell'olio di oliva crudo sulla pasta calda.
Il calore del the col miele dentro lo stomaco, l'odore della carta di un libro nuovo, il sapore della salsiccia alla brace tra due pezzi di pane.
Sentire le tue mani sulla mia schiena quando mi abbracci, riconoscerti quando ancora non mi hai visto.
Vederti piangere, vederti ridere.
Il colore delle foglie del leccio, poter uscire in sandali e calzoncini corti, l'acqua fresca di fontana quando hai sete.
Calcare le prime impronte sulla neve fresca, scaldarsi le calze intirizzite davanti alla stufa.
Far volare un aquilone.
Sedersi su un prato per parlare. Cantare lavando i piatti.
Le goccioline di nebbia sul viso.
Sperare.
Cambiare.
Ma soprattutto tu, voi.

venerdì 24 giugno 2011

Lettera al mondo

Caro mondo,
eccomi ancora qui a calpestarti un po', come faccio ormai da ventiquattro anni e un mese: ma te non dispiace, vero?
Scusami se nell'ultimo periodo sono stato un po' assente, mi sono forse perso alcune cose importanti, dovrai aggiornami (anche se, dirai, tre settimane rispetto a cinque miliardi di anni non sono poi chissà quanto tempo)!

Ti scrivo perché vorrei chiederti un favore...
Sì, so cosa penserai, ecco il solito rompiscatole che si fa vivo solo per chiedermi qualcosa: tutti uguali questi umani!
Ma, ecco, è che ho l'impressione che negli ultimi tempi tu abbia una brutta cera: se vuoi, sappiamo che puoi essere meraviglioso, ma di questi tempi non mi sembra che ti mostri per il lato migliore...
Ecco il favore che ti volevo chiedere: non è che potresti tirar fuori dal cassetto un po' di quegli abiti semplici e carinissimi con cui ti ho visto spesso, e andresti a svegliare con un bel sorrisone, domattina, qualcuno dei miei amici?

Che so, potresti regalare i voli e fischi delle rondini quando alzano gli occhi verso il cielo, o la sabbia bagnata dalle onde che prende la forma del piede nudo che cammina sulla spiaggia, o ancora il profumo della brace di legna al fuoco di bivacco...

O perché no le ombre proiettate dalla luce della luna prima di andare a dormire, o i mille colori dei campi guidando lungo le colline, o il vento che passa ad asciugare con un carezza il sudore dalla pelle...

E ancora, potresti regalare un inaspettato sorriso di un collega, lo squillo di un messaggino di una persona che è un po' che non si sentiva, e forse, addirittura, una lettera scritta a mano nella cassetta della posta...

Potrei continuare ancora!
Il sapore delle more colte dal rovo, il suono della fisarmonica e dei piedi che ballano, il luccichio di lacrime di felicità, il profumo dell'erba tagliata, la gioia di poter muovere le dita dei piedi libere nei sandali, il sentirsi stanchi e soddisfatti, ricordarsi che non c'è bisogno di capire tutto per essere felici, preparare la valigia per le vacanze, sdraiarsi nell'erba, cantare, fare le coccole a un bel cagnolone, ridere, guardare insieme il tramonto...

Vedi, caro mondo, io credo che a volte dimentichiamo le cose per cui vale la pena vivere, e continuiamo a pensare e parlare delle difficoltà che incontriamo.

E allora via, a sbarleccare un bel gelatone prima che si sciolga, a dare un bacio della buonanotte, a dire buongiorno all'autista dell'autobus, a sorridere rispondendo al telefono, a sdrammatizzare con una battuta, a fare progetti e metterli in pratica, a raccontare una storia, a fare la nostra parte per dipingere il mondo di felicità.

Con un sorriso, a domattina:
Buona Notte Mondo!!!

martedì 26 ottobre 2010

Mandati

Le ultime note della canzone indugiavano ancora nell'aria calda dell'estate, portate dal vento tra i rami degli alberi sulla cima di quella collina.

La luce del fuoco di bivacco illuminava i volti delle persone strette a cerchio, e sembrava quasi di poter udire i cuori battere, di sentire i pensieri di ognuno mentre si intrecciavano l'uno con l'altro. E più che dal fuoco il calore veniva da dentro, dalla terra, da tutt'intorno, da quel mondo che vibrava di vita e sembrava lontano anni luce da quelle vite da dove erano venuti, e a cui sarebbero tornati l'indomani.

- Le nostre strade qui si separano, fratelli. Forse un giorno ci rivedremo, ma fino a quel momento, non dimenticate quanto vi ho voluto bene.

Le parole attesero a lungo prima di nascere nella gola, come se volessero dilatare il tempo stesso e farlo fermare

- E se non tornassimo? Se restassimo qui, per sempre?

E lui, che li aveva portati lì, che aveva spezzato il pane con loro e benedetto il vino, rispose - Ma proprio per tornare, siete venuti qui. Questo è il compito che voglio affidarvi: che portiate gioia nel mondo. Quell'amore che avete scoperto tra voi, ora donatelo a quelli che incontrerete. So che riuscirete a portare la felicità su tutte le strade che percorrerete.

Alzarono gli occhi verso di lui, increduli e stupefatti - Ma... No, stavolta ti stai sbagliando. Senti, questi giorni sono stati bellissimi. Li porteremo sempre nel nostro cuore, ma... La vita di tutti giorni è un'altra cosa. Come faremo a portare felicità agli altri, se già è difficile conservare un sorriso? Sarà già tanto se la gente che incontreremo ci tirerà una pacca di compassione sulle spalle invece che un pugnale...
Come faremo oltre a tenerci stretto tra i denti un lavoro, la nostra famiglia, ad essere voce di speranza in un mondo che grida di paura? Forse, se fossimo eroi, potremmo riuscirsi, ma sai che non siamo altro che donne e uomini...

Li guardò, uno a uno, con un sorriso, quel sorriso dolce e profondissimo di chi vede la lunga strada davanti con tutte le sue difficoltà e tutte le vette meravigliose che attendono, ma sa che non può essere raccontata se non percorrendola.

- Ed è proprio perché non siete eroi, che ci riuscirete.
Perché sapete quanto bisogno c'è di un sorriso, che sorriderete. Perché sapete quanta fatica costa amare una persona, che la farete sentire un tesoro unico. Proprio perché sapete di poter sbagliare, saprete anche perdonare.
Non saprei cosa farmene di persone più geniali, più forti, più sapienti: ho bisogno di voi.
Proprio voi, che abbraccerete il bambino che sta piangendo e gli racconterete le avventure che lo aspettano.
Voi che ascolterete tutte le parole che il vostro fratello non è mai riuscito a dire, fino a che il suo cuore non sarà così leggero da volare.
Voi che così piccoli alzerete la vostra voce a smascherare le bugie più grandi.
Voi che saprete alimentare in ogni persona quel fuoco di gioia che avete scoperto in voi stessi.
Voi che vi amerete dell'amore più semplice del mondo, quello che genera la vita.


Le stelle vegliavano in silenzio su quelle colline coperte di ulivi, sul mare all'orizzonte, sulle montagne e su tutte le terre che l'occhio non raggiungeva. E un rumore, come una bassa vibrazione, correva come un brivido lungo la pelle del mondo: il palpito di speranza racchiuso nel cuore di ogni uomo.






"Ascolta il rumore delle onde del mare
ed il canto notturno dei mille pensieri dell'umanità
che riposa dopo il traffico di questo giorno
e di sera s'incanta davanti al tramonto che il sole le dà.

Respira, e da un soffio di vento raccogli
il profumo dei fiori che non hanno chiesto che un po' di umiltà.

E se vuoi puoi gridare, e cantare che hai voglia di dare,
e cantare che ancora nascosta può esistere la felicità,
perché la vuoi, perché tu puoi riconquistare un sorriso,
e puoi giocare, e puoi sperare, perché ti ha detto bugie,
ti han raccontato che l'hanno uccisa, che han calpestato la gioia,
perché la gioia, perché la gioia, perché la gioia è con te!

E magari fosse un attimo, vivila ti prego,
e magari a denti stretti non farla morire,
anche immersa nel frastuono tu falla sentire:
hai bisogno di gioia come me."

venerdì 8 ottobre 2010

Dichiarazione d'amore

Questa è una dichiarazione d'amore per una donna speciale.

Sì, una vera, autentica (più o meno...), dichiarazione d'amore pubblicata su blog, facebook, e altre utili fesserie del genere.

Per una donna, una ragazza speciale che non è come tutte le altre. Anzi, meglio: una ragazza, una donna, speciale come tutte le altre ragazze, unica come tutte le altre donne.

Una donna che non è necessariamente Miss Italia, anzi tutt'altro...
Non so se mi credono quando dico che, per me, le ragazze stile Miss Italia di solito non sono belle. O forse, semplicemente non si fanno vedere dal loro lato migliore (sì, lo so, i doppi sensi si sprecano, ma stavolta non ero malizioso).

E' che penso di aver visto donne molto più belle.

Ad esempio, la mia bisnonna.
Ok, sono ammesse le risate, ma io dico sul serio. Non so, forse sarò proprio senza speranza, ma ogni ruga del viso è la traccia di tanti sorrisi, di un secolo di emozioni, i segni lasciati dalle due guerre, e dai figli, dai nipoti e dai pronipoti che ha cresciuto. E non sono forse tesori inestimabili i suoi racconti degli scioperi dei braccianti, o i suoi consigli su come trovare la fidanzata, o sapere che sta pregando per me, proprio per me?
Eppure sono cose che fanno vibrare, nel profondo, corde che invece rimangono silenziose davanti al balletto delle veline di Striscia la Notizia.

Forse è perché sono cresciuto insieme a ragazze che dichiaravano la loro tenda territorio di rutto e renza libera, eppure i capelli spettinati e una tuta da ginnastica che si è fatta un'intera route mi fanno battere il cuore molto più forte di un vestito da sera. Per non parlare dei tacchi! Un paio di scarpe da ginnastica, magari sformate e vissute, penso mi siano irrestistibili. Quanti passi devono aver calcato!!!

Penso inoltre che incornicerò nella memoria le incazzature della Gio o i discorsi femministi della Chiara, per ricordarmi cosa vuol dire una persona tosta (istintivamente direi "con le palle", ma è un'infelice eredità della tradizione maschilista...). E non mi dimenticherò il pancione della prof. Iacumin che ha quadruplicato la mia voglia di scrivere la tesi, e mi ha strappato dei ringraziamenti un po' più romantico-sentimentalnostalgici del previsto.

A volte ho l'impressione che un uomo possa essere dirigente, operaio, avvocato, musicista, scaricatore di porto etc. e invece la donna possa essere donna dirigente, donna operaia, donna avvocato, donna musicista, donna scaricatrice di porto... Insomma nei film quasi sempre se c'è un uomo fa un lavoro o un'attività, se c'è una donna fa un lavoro e un'attività oltre a baciare o scoparsi (anzi, di solito farsi scopare da) qualcuno.
Magari sono stato fortunato, ma quello che ricordo sono ragazzi e ragazze che, tutti, portavano pali e costruivano sopraelevate - che alla fine stavano su tutte -, cucinavano, sparavano cazzate, cantavano e suonavano... Ci provavano a vicenda, certo, ma almeno la cosa non è stata prerogativa di una parte o dell'altra... Parità dei sessi, insomma!

Ecco, la donna che amo è così.
Se è elegante, non lo fa perché è donna, ma perché quel giorno le gira di essere elegante. E se le gira di giocare a rugby e tirare spallate negli stomaci, potrei amarla addirittura di più.

Cerchiamo di conoscere i semi che gettiamo nella fertile terra delle coscienze: troppa paura e violenza è nata da mercificazione, a volte addirittura fatta passare per libertà, per diritto.

Ma i semi di dono, i semi di rispetto, i semi di amicizia e i semi di amore, invece, hanno portato frutti meravigliosi.
Non è facile imparare ad amare: ma ce la si può fare. Si impara dalle prime volte, nei corridoi delle elementari, quando cominci a pensare che dopotutto, i partecipanti all'Associazione Femmine di Terza non sono poi così repellenti come proclami nell'Associazione Maschi di Terza. E magari fondi l'Associazione Amici di Terza... Poi continui ad imparare quando gomito a gomito lavi le pentole, magari ballando il walzer negli intermezzi, impari dagli sbagli in cui ti cacciano i tuoi nuovi amici ormoni, impari anche che l'amicizia tra uomo e donna può esistere non perché non ci sia il naturalissimo istinto dell'accoppiamento, ma perché tu, da uomo o donna in gamba e dotato di buon senso, sai conoscerlo e guidarlo. Prendi il sale: se ti mangi un pugno di sale, stai male. Se ne distribuisci il giusto pizzico ottieni un ottimo sugo al basilico. O anche all'amatriciana, a seconda dei gusti.


Credo che ci siano due versioni della Genesi, nella Bibbia, semplicemente perché una è giusta e l'altra sbagliata.
In quella sbagliata Dio tira fuori la donna dalle costole dell'uomo: nessun uomo che ama davvero la propria donna potrebbe mai scrivere un'umiliazione simile.
In quella giusta, Dio crea l'Uomo, maschio e femmina li crea: due pezzi di uno stesso Genere Umano. Due lati della stessa Creatura.


E oggi, alla donna che amo, a quell'altro lato del Genere Umano di cui faccio parte, con le sue maniglie dell'amore e con la sua risata vera, col suo metro e tanta voglia di crescere, con le mani piene dei calli lasciati da tutti i pezzi di solidarietà che ha portato, e il cuore pieno di toppe e di buchi e di persone e di sogni, chiedo di aiutarmi a credere che non sono l'unico a volere questa, delle due versioni della Genesi.
Chiedo un aiuto, perché il futuro è una strada che una persona non può percorrere da sola. Ma ne bastano due.


P.S. Per chi non l'avesse ancora capito, è inutile cercare di capire quale donna avesse in mente il sottoscritto: ho scritto per tutta una metà del genere umano... E in fondo anche per l'altra!

domenica 3 ottobre 2010

Una scatola di colori


Avevo una scatola di colori,
brillanti decisi e vivi

avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, alcuni molto freddi.
Non avevo il rosso
per il sangue dei feriti,
non avevo il nero
per il pianto degli orfani,
non avevo il bianco
per il volto dei morti
non avevo il giallo
per le sabbie ardenti.
Ma avevo l'arancio
per la gioia della vita,
e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste per i chiari
cieli splendenti
e il rosa per il sogno e il riposo.
Mi sono seduta e ho dipinto la pace.

Tali Sarek

martedì 29 giugno 2010

La Felicità non è una funzione di stato


Non aspettare
di finire l'università,

di innamorarti,
di trovare lavoro,
di sposarti,
di avere figli,
di vederli sistemati,
di perdere quei 10 chili,
che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina,
la primavera, l'estate,
l'autunno o l'inverno. 

Non c'è momento migliore di questo per essere Felice. 
La Felicità è un Percorso, non una destinazione!! 

[Madre Teresa di Calcutta?]

mercoledì 24 febbraio 2010

Buon senso o pigrizia

"Sono del parere che la pigrizia sappia camuffarsi da buon senso molto bene, ma l'esperienza mi ha insegnato a riconoscerla e a smascherarla.
Quando il buon senso propone staticità si tratta quasi sempre di pigrizia.
Quando ti dice di mettere il poncho nello zaino è buon senso."


Edo Martinelli, Supplemento a R-S Servire

mercoledì 23 dicembre 2009

Una notte d'inverno...


- Entrate, entrate pure, ma mi sa che vi dovrete accontentare...
Purtroppo è così che va il mondo, sono i grandi della terra, là nei loro palazzi placcati d'oro, che fanno la storia a seconda di cosa vogliono mangiare la sera o chi si vogliono portare a letto.
Noi poveracci ci diamo da fare per fare il bene, ma tanto, che importanza ha? -



(un pastore di Betlemme, mentre accoglieva uno sfollato e sua moglie incinta nella sua stalla)



martedì 28 luglio 2009

Il mio Dio




Il mio Dio non è forte,
perché non ha bisogno della forza. 
Il mio Dio non è tremendo,
per non far paura ai bimbi. 
Il mio Dio non impone leggi,
insegna la strada per giungere a Lui. 
Il mio Dio non è geloso di altri dei,
perché è l'unico. 
Il mio Dio non chiede sacrifici e non sparge dolore,
non odia i nemici e non vuole le guerre; 
il mio Dio non giudica e non punisce i malvagi,
ma tiene aperta la porta per chi viene a Lui. 
Il mio Dio non pretende di essere Verità per l'uomo,
lo chiede gentilmente bussando al mio cuore. 

Il mio Dio mi ama:
non ha esaudito tutti i miei desideri,
perché io possa ancora sognare;
non ha soddisfatto ogni mia richiesta,
perché io capisca il senso di un dono;
non ha creato un universo senza dolore,
senza lotte, senza problemi,
ma si è fatto uomo come me
perché mi ama,
e vuole vivere insieme a me
e insieme a me affrontare la sfida della vita.

Il mio Dio è il Dio dei bimbi
il Dio dei pastori, e delle loro pecore,
il Dio dei pescatori, e il Dio dell'acqua,
il Dio dell'erba e il Dio del vento, della pioggia e del sorriso,
il Dio delle sere intorno al fuoco,
il Dio degli scarponi sul sentiero,
il Dio dei poveri e dei malati,
il Dio delle chitarre e dei tamburi,
il Dio dei colori e il Dio degli abbracci,
il Dio che sta sulle croci solitarie delle cime
e nelle dimenticate maestà nei boschi
nelle parole di mille canzoni
e soprattutto nel cuore dei suoi figli.