mercoledì 31 ottobre 2007

Giù nella Val Fiorentina

Riprendo, dopo una mezza era geologica, il racconto della route.
Riuscirò mai a finirlo?

Racconti d'Estate - Parte III - Giorno 3

E' vero che gli scout sono notoriamente degli zozzoni che si accontentano di poco, e che in route tutto ciò è portato all'estremo, ma anche in queste situazioni di solito la mattina ci si fa un the o un caffé, e ci si lava i denti, come minimo.
Considerato che eravamo in ristrettezze idriche, potevamo anche accontentarci di non lavarci i denti, ma di sicuro nessuno mi avrebbe tolto la mia razione liquida mattutina. Così mi sono diretto al rifugio/albergo/ristorante con due bottigliette, sicuro che almeno un paio di borracce me le avrebbero fatte riempire in bagno. Invece, mi hanno detto di andare ad una sorgente una cinquantina di metri dietro al prato dove ci eravamo messi.
Non so se ero più sconvolto dal fatto che non mi avessero fatto riempire le bottiglie o che avessimo avuto tutto il tempo una sorgente dietro le spalle e nessuno ce l'avesse detto. Ma tutto è bene quel che finisce bene, e almeno la mattina non abbiamo dovuto razionare l'acqua.

Ora, dovete sapere che in route c'è un antichissimo rito della partenza mattuttina, che deve essere sempre rigorosamente rispettato: ogni volta ci si deve porre l'obiettivo fondamentale di partire presto, e si elencano tutte le innumerevoli ragioni per cui ciò non è solo consigliato ma anzi indispensabile, e rigorosamente, ogni volta, si deve partire sempre non mezz'ora, ma almeno un'ora o due oltre l'orario prefissato, accompagnando il tutto da un coro di improperi diretti verso coloro che stanno espletando il loro compito di rallentatori del clan.

Concluso anche quella mattina il rito, ci siamo diretti (lasciando Dede in compagnia di Simo il cui ginocchio non aveva apprezzato la camminata del giorno prima) verso l'imbocco del sentiero che quel giorno avrebbe dovuto sopportare i nostri scarponi.
Vi ricordate che nel racconto della giornata precedente avevo detto che, andando in cerca di acqua, per evitare un tornante ci eravamo lanciati lungo una scarpata spaccaginocchia? Bene, l'imbocco del sentiero era proprio su quel tornante, e proprio all'imbocco del sentiero scoprimmo quella mattina una zampillante fontana.
Avevamo passato 24 ore a razionare l'acqua quando eravamo circondati da fonti d'acqua potabile, e nessuno ce l'aveva detto.

Stufo di dover essere sempre io il cartografo autonominato di clan, ho deciso di affidare per quella giornata questo arduo compito alla Cami. Non l'avessi mai fatto: non aveva ancora preso in mano la cartina che già fiumi di critiche sulla sua incapacità di guidare il Clan (per il solo fatto che fosse una donna, credo) le piovevano addosso da ogni parte... Mah, così va il mondo... Mai prendersi un incarico per molto tempo, o si rischia di non toglierselo più di dosso...

Quel terzo giorno era anche la giornata dedicata agli zingari, e l'attività fondante consisteva nel rubarsi le cose a vicenda: ognuno DOVEVA sottrarre qualcosa ad un prescelto, ignaro compagno di strada. Immaginate quanta fiducia avremo risposto quel giorno negli altri. Da parte mia ho dimostrato la mia grande affidabilità, semplicemente esibendo la mia totale inettitudine nel furto.

Così, tra una sgraffignata e l'altra, siamo discesi lungo ripide piste da sci fin giù a Pescul nella Val Fiorentina, dove da bravi scout in route ci siamo accampati (sinonimo di stravaccati) proprio di fianco alla fontana del paese, sfruttandola come fontana (appunto), come vasca da bagno, come doccia, come lavapiatti e come lavatrice. Una gentilissima coppia della casa di fronte, non so se impietosita dal nostro fare da sfollati, o preoccupata per la tranquillità dei vicini, ci ha caldamente invitato a spostare il nostro accampamento nel loro cortile. Quando abbiamo realizzato che stavano VERAMENTE invitandoci nel loro cortile, abbiamo accettato la cosa con grande gioia, e riempito ogni centimetro quadrato con zaini, moduli, fornellini, pentolini, buste, moke, carte e tutto quello che si può trovare nel posto dove un clan sta effettuando una breve pausa pranzo durante il cammino.

Terminato il pranzo (arricchito anche da gustose pietanze montanare calateci dal balcone dei nostri ospiti), e dopo la sovrabbondante siesta rituale, abbiamo lasciato i due non camminanti a sdebitarsi con gli ospiti spaccando un po' di legna, e siamo ripartiti alla volta di Selva di Cadore.
Tutti sanno che camminare con lo zaino stanca (almeno un po'), e che a far nulla per ore viene la fiacca. Quel giorno abbiamo imparato che l'alternanza di cammino e nullafacenza è veramente mortale. Credo di non essere mai entrato in un supermercato in condizioni peggiori, rispetto a quel giorno a Selva. Mi sentivo come se, mezzo addormentato, comandassi il mio corpo da una remotissima postazione, collegata con una connessione che andava e veniva come un segnale radio disturbato. Forse anche per quello è stata la route in cui ho speso di più per il cibo.

A Selva di Cadore ci trovammo di fronte ad un problema piuttosto scomodo: nessuno si era preoccupato di trovare un posto per la quella notte.
E in un paese costruito sulle pendici di quei colossi che molto più in alto diventano l'Averau e il Nuvolao, gli unici piccoli pezzetti di terreno abbastanza spiani da accogliere delle tende erano tutti giardinetti privati.
In quel frangente, è venuta in nostro soccorso l'esperienza e l'abilità in pubbliche relazioni del nostro Capoclan, che ha individuato, ammansito e convinto il prete del posto a indicarci un luogo non troppo improponibile per passare la notte: il bordo di una strada sterrata appena sopra al paese, raggiungibile scalando (sì, questo è il verbo migliore) un sentiero la cui pendenza lo rendeva assimilabile alle pareti dei normali edifici.

Grazie al nostro spirito di adattamento siamo riusciti a montare (anzi appoggiare, causa terreno decisamente impenetrabile) le tende sulla sottile striscia d'erba che separava la carraia dal bordo del bosco (e dalla tomba di una probabile cagnolina, il cui fantasma per fortuna o per pietà non ha disturbato il nostro sonno), e fare le attività, cucinare, cenare e fare il fuoco tutto su quel metro e mezzo di strada sterrata che avevamo a disposizione. Anche recuperare l'acqua per bere, lavare e lavarsi necessitava di abbondante spirito di adattamento, visto che la fontana di cui disponevamo consisteva in un tubo incrostato di alghe che versava in una vasca immersa nell'erba alta, proprio sul fondo della scarpata erbosa al lato della strada, e per usufrine bisognava stare in equilibrio sullo stretto, bagnato bordo della vasca ricoperto di muschio (tutto il resto era una giungla che poteva nascondere chissà quali orribili minacce).

Ma, si sa, le difficoltà fortificano, e infatti quella serata, animata da una mega gara per nominare l'Uomo e la Donna delle Dolomiti, gara durante la quale nacquero miti intramontabili come JURASSIC PARK, la Pamelona e il velociraptor, fu una serata decisamente esilarante, e alla fine ci infilammo nei nostri giacigli soddisfati. Anche di aver scampato al passaggio di una pattuglia della forestale dalla quale ci ha salvato la promessa solenne che non avremmo più campeggiato. Lì.

Curiosamente, pur avendo tre macchine fotografiche (e vi ricordo le peripezie fatte per averle tutte e tre), sono riuscito a recuperate una sola foto della giornata, decisamente significativa direi:

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