domenica 19 agosto 2012

Sulle Vette Feltrine

L'altro ieri, venerdì 17 agosto, verso le cinque e mezza di pomeriggio, dopo 296 km di treno, 80 km di strade statali, 11 km di sterrato, 5 ore di sentiero e una cima mancata, insieme alla nostra squadra composta da un parmigiano che vuol diventare trentino, una trentina che vuol diventare parmigiana e una coppia di montanari ferraresi, mettevo piede nel rifugio Dal Piaz, sulle vette feltrine.

La storia comincia prima, naturalmente, ma mi limiterò a farla partire da quando ci siamo trovati sopra la diga di Pontet, sul fondo della Val Cismon. Siamo stati avvertiti che ci aspettava una "strada bianca lunga e stretta, a picco e senza parapetto", e l'avvertimento è stato fin troppo blando: la strada che porta al rifugio Vederna sono quaranta minuti di tornanti intagliati nelle pareti a picco sulla valle, e a darti il benvenuto un cartello con scritto "Strada non collaudata - liberamente percorribile a vostro rischio".

Usciti indenni da questa prima sfida - a parte un po' di strizza - e lasciate le macchine al rifugio Vederna, ci siamo incamminati verso la nostra meta che ci sovrastava di mille metri: il monte Pavione.
Tutto bene per il primo tratto di bosco fino ad una malga, i problemi sono cominciati invece nella lunga salita tra bosco e roccette verso il Passo del Pavione, quando il cardiofrequenzimetro ha cominciato a suonare, avvisandomi che forse stavo proponendo una prova un tantino esagerata ad un cuore che sta ancora imparando a convivere con una valvola meccanica... Tra scorpacciate di lamponi e mirtilli e attacchi di formiche, comunque, il passo è stato raggiunto, e con lui una doverosa sosta-cioccolato.

Aiutato forse anche dall'infausta data, il destino ha voluto che la cima rimanesse nell'elenco delle cose da fare: poche decine di metri dopo il passo, accorgendomi che avrei fatto una magra figura ad un gran premio delle chiocciole (e senza nemmeno la scusa della casa sulle spalle) ho desistito con un "Salutatemi la vetta!". Chapeau ai miei compagni che, invece di completare l'escursione, hanno deciso di farmi compagnia sul sentiero basso che tagliava verso il rifugio.
Sentiero che si è rivelato custodire meraviglie come panorami mozzafiato su valli verdeggianti spalancate sull'abisso, coloratissime fioriture di aconito ed eufrasia e un gregge di pecore alpiniste (nel senso che, nonostante gli sforzi del pastore per farle scendere, hanno passato la notte arrampicate su di un ghiaione pressoché verticale).
Giunti al rifugio abbiamo ritrovato segni di civiltà: runner arrivati fin lì di corsa, gente con il parapendio che si lanciava verso casa, e soprattutto terrificanti famigliole con bambini.

Forse perché sorge in un angolo di dolomiti pressoché sconosciuto dalla maggior parte dei turisti, il piccolo rifugio Dal Piaz, invece che essere una chiassosa piazza gestita da un plotone di rifugisti sull'orlo di una crisi di nervi, è un piccolo baitino accogliente tappezzato di foto da tutto il mondo e disegni dei bambini; così dopo la zuppa e le "torte di Anna" abbiamo allietato la serata (sinonimo di "rotto allegramente le scatole") appropriandoci della chitarra del rifugio e tentando di suonare canzoni "sotto dettatura"...
La mattina dopo, baci e abbracci: la compagnia si divide, i ferraresi si lanciano in una lunga traversata verso un lontano rifugio di nome Boz, mentre io e il mio angelo custode alias Virginia riprendiamo la strada del ritorno.



Caro Benedetto decimosesto, se i miei compagni, dopo aver spostato data e luogo dell'escursione per me, dopo avermi ospitato, dopo aver sopportato il "bip-bip" del cardiofrequenzimetro e aver rinunciato al monte Pavione senza tuttavia odiarmi a morte (spero), ecco, se dopo tutto questo non li fai santi, allora caro mio mi sa che devi rivedere i tuoi criteri di canonizzazione...