domenica 25 dicembre 2016

Una chiesa di tappi di sughero


Una chiesa di tappi di sughero.
Mattoncino su mattoncino, tagliati, disposti e incollati a costruire un modello in scala della chiesa di Bellena di Fontevivo. Ma la cosa più importante - per me - è che è fedele anche all'interno. Banchi, altare, cero, fonte battesimale intagliati nei tappi di sughero, quando il modello sarebbe già stato bello solo con l'esterno. Ma Geremia no, non ha voluto che fosse un modello vuoto dentro, lo ha fatto pieno. Anche se per vedere il lavoro fatto occorre sollevare il tetto.
Questo nuovo pezzo del presepe è uno dei più bei regali che ci ha fatto questo Natale. L'amore si può raccontare con diversi linguaggi, dicevamo pochi giorni fa, e penso che questo sia un messaggio piccolo e potente di amore. Che racconta una storia, la lega ad una più grande e le regala alla nostra, attraverso i pezzetti di sughero, di tempo e di attenzione incollati insieme.

E mi chiedo: in quello che dono, che dico, che faccio, mi sto dando il tempo e la pazienza di mettere amore anche all'interno?

mercoledì 17 agosto 2016

Un burqa laico

Il 28 luglio, il sindaco di Cannes ha emesso un'ordinanza che dice:

l'accès aux plages et à la baignade sur la commune de Cannes sont interdits (...) jusqu'au 31 août, à toute personne n'ayant pas une tenue correcte, respectueuse des bonnes mœurs et de la laïcité respectant les règles d'hygiène et de sécurité des baignades

tradotto in italiano, più o meno dovrebbe essere così:

l'accesso alle spiagge e al bagno [in mare] nel comune di Cannes è vietato (...) fino al 31 agosto a chiunque non abbia un abbigliamento corretto, rispettoso del buon costume e della laicità, rispettando le regole di igiene e la sicurezza dei bagnanti [più esattamente "dei bagni"].

Sembrerebbe tutto abbastanza ok, se non fosse per quella parolina, laïcité, che solleva qualche perplessità.

Che cosa vuol dire, esattamente, laicità?

Secondo il dizionario Larousse:
Concezione e organizzazione della società fondata sulla separazione di Chiesa e Stato e che esclude le Chiese dall'esercizio di ogni potere politico o amministrativo e, in particolare, dell'organizzazione dell'insegnamento.
Secondo il CNRTL:
Principio di separazione nello Stato tra la società civile e la società religiosa

Bene, ok, allora è chiaro: a meno che io non mi metta in spiaggia a fare propaganda per l'instaurazione di una teocrazia in Francia, non ho di che preoccuparmi, giusto?


Mmmm... Mi sa di no.
Perché dai giornali leggo di quattro donne che sono state multate a seguito di questa ordinanza.
Che strano, in così poco tempo quattro istigatrici di una rivoluzione teocratica? E tutte donne?
Ci dev'essere qualcosa sotto.
E infatti sembra proprio che la terribile minaccia alla laicità dello Stato francese sia... un costume da bagno. Un costume da bagno particolarmente coprente, disegnato per permettere alle donne mussulmane di fare il bagno rispettando la loro tradizione religiosa.
Un po' come il vestito di una suora rispetta la regola religiosa del suo ordine, un po' come la kasaya dei monaci buddisti, o come potrebbe essere il tau che portavo al collo anni fa, la kippah o il clergyman.

Ma io mi chiedo... portare un simbolo religioso in pubblico è un attentato alla lacitià di uno Stato? Per il solo fatto che non nascondo la mia appartenenza ad una religione sto attentando alla reciproca libertà tra Stato e Chiesa (quale che sia)??
Ma come faranno gli zelanti appartenenti alle forze dell'ordine a giustificare le loro multe, a dimostrare che senza dubbio la condotta dei multati non stava rispettando la laicità? E come mai questo dovrebbe valere solo in spiaggia, e non in tutti i luoghi pubblici?
Ma soprattutto, come mai si parla soltanto di burqini? Possibile che tra tutte le migliaia di bagnanti, soprattutto europei, si siano trovati solo burqini e nemmeno una crocettina appesa al collo?? Oppure il burqini è un attentato e la croce no?

Forse una risposta ce l'ha data l'illustrissimo Valls:
Le burkini n’est pas une nouvelle gamme de maillots de bain, une mode. C’est la traduction d’un projet politique, de contre-société, fondé notamment sur l’asservissement de la femme. Certains cherchent à présenter celles qui le portent comme des victimes, comme si nous mettions en cause une liberté ... Mais ce n’est pas une liberté que d’asservir la femme.
Tradotto:
Il burqini non è una nuova gamma di costumi da bagno, una moda. E' la traduzione di un progetto politico, una contro-società, fondata specialmente sull'asservimento della donna. Alcuni cercano di presentare coloro che lo portano come delle vittime, come se noi negassimo una libertà... ma non è che libertà di asservire la donna.

Il sindaco di Sisco, in Corsica, è stato molto più chiaro e diretto: sono infatti vietati
tout signe religieux distinctif dans les lieux publics,

tutti i segni distintivi religiosi nei luoghi pubblici.

Bravi. Bene. Bis.
Dei geni.
Mi sembra corretto, dopotutto.
Diciamolo, che in fondo il terrorismo è causato da questo. Dalle religioni.
Non dalla sofferenza patita da persone emarginate dalla società, sfruttata da una catena di persone più o meno potenti che, per aumentare la loro influenza e il loro potere, cercano di convincere il mondo che gli occidentali sono cattivi e odiano tutti i mussulmani e si fanno i soldi sulla loro pelle, e che tutti i mussulmani devono odiare gli occidentali.
Diciamolo che non hanno bisogno di convincerci, perché in fondo è così, se la gente si ammazza è perché tu non nascondi che sei mussulmano, perché tu non nascondi che sei cristiano o ebreo.
Non importa se c'è qualcuno che lotta per dire che non è così, che chi ammazza ammazza perché è un terrorista, non perché è mussulmano, che non sono le religioni che dobbiamo combattere ma l'odio, la sofferenza e l'emarginazione.
Diciamolo che è pericoloso vedere mussulmani e cristiani fare il bagno insieme, molto meglio una società dove nessuno sembra religioso, dove tutti sono uguali, "normali".

Ah, a proposito.
Negli States in questi giorni hanno qualche grosso problema tra persone di pelle bianca e persone di pelle nera.
Propongo una soluzione geniale, alla "Cannes": una bella legge che vieti di mostrare il colore della propria pelle in pubblico. Niente diversità, niente problemi, no?
Un bel vestito che copra tutto.
Una specie di burqa. Laico, però.

sabato 11 giugno 2016

Dieci giugno

Finito.

Il sole del 10 giugno scende verso l'orizzonte, in un cielo che si è appena liberato delle nuvole.

Finiti gli scrutini, finita (o quasi) questa prima avventura dall'altra parte della cattedra.

E la grande domanda che mi faccio (ma che, credo, si fanno in molti) è: avrò fatto bene?

Ora che finalmente ho un attimo di pace riguardo a quest'anno con un po' di calma, e cerco di dare le giuste dimensioni al lavoro fatto: un anno scarso da supplente di scienze in un liceo scientifico e da insegnante di sostegno in un istituto professionale.

O, se volete, il compito di guidare verso la maturità (umana e non solo esame) centocinquanta ragazze e ragazzi, cercando di tradurre in un numero i loro sforzi, più o meno grandi e più o meno efficaci, avendo conosciuto di loro soltanto una cinquantina delle circa centocinquantamila ore di vita. Sapendo che quel numero e quelle decisioni prese se le porteranno dietro per sempre.

So di aver fatto del mio meglio, ma so anche che, con ogni probabilità, non tutte le decisioni prese saranno state le migliori.

Quello che però vorrei lasciare, sono i miei pensieri su questo mondo che ora ho visto da due, anzi da tre lati, da studente, da tecnico, da insegnante.

Il primo pensiero è che, credo, abbiamo bisogno di rivedere quello che la scuola dovrebbe dare ai ragazzi.
Chi vogliamo formare?
Io penso di saper rispondere: persone mature e autonome, capaci di costruirsi la felicità e di vivere responsabilmente su questa Terra insieme agli altri.
E siamo sicuri che la scuola dia davvero gli strumenti per questo? E che li dia a tutti?
Studiare italiano, storia, latino, scienze, matematica, etc... è quello che ci serve? E' tutto quello che ci serve? Stiamo dando il giusto spazio a ciò che riteniamo importante dare ai ragazzi?

Secondo me, sì e no. Anzi, soprattutto no (ma è universalmente noto che non sono mai contento!).
Posso capire che ad uno studente di un liceo scientifico, in futuro, probabilmente servirà saper calcolare una derivata, scrivere un articolo in italiano o inglese impeccabile, conoscere l'anatomia del sistema circolatorio umano.
Ma siamo sicuri che uno studente di un istituto professionale, un futuro operaio tornitore (e magari anche padre di stupendi bambini, pilota di motocross o tutto quello che vorrà mettere nella sua vita) abbia per forza bisogno di saper risolvere un'equazione di secondo grado? O di conoscere la distinzione tra organismi autotrofi ed eterotrofi? Senza dubbio sono conoscenze utili, ma vale la pena vincolare alla valutazione di questi argomenti il completamento del percorso di studio?
Ricordiamoci che la scuola è obbligatoria per tutti i ragazzi, e con tutti intendo sia quelli che amano star seduti cinque ore ad ascoltare uno che parla, sia quelli che fermi dieci minuti non ce la fanno proprio a stare...
Riguardo a questi argomenti abbiamo ormai tecniche e strumenti collaudatissimi per far esercitare i ragazzi (o almeno i bravi ragazzi).
Ma possiamo dire la stessa cosa per altre cose, come la capacità di lavorare in gruppo in modo costruttivo? La legalità? La gestione dei conflitti? La tutela della propria salute? La gestione dei rapporti affettivi? La partecipazione politica? I diritti e i doveri di un cittadino? La gestione (anche economica) di una famiglia, la crescita di un figlio? Eppure è molto probabile che tutti, o quasi, i nostri ragazzi dovranno affrontare queste sfide. O ancora, quanto impegno dedichiamo a fare della scuola e della classe una comunità accogliente (una famiglia felice, avrei detto sotto altre vesti), dove i ragazzi possano vivere momenti felici, profondi, sereni?
Qualcuno, forse, mi farà notare che si fanno già alcune attività su questo. Certo. Ma quante ore, quante persone, quante risorse dedichiamo a questo, e quante a latino, disegno, scienze, matematica ... ? Ai ragazzi cosa facciamo apparire come più importante?

Un secondo pensiero va al voto.
A quel maledetto voto, che la legge impone (più o meno) fin dalla prima elementare.
Un numero: e come numero, un'etichetta assegnata ad un elemento di un insieme ordinabile, cioè una classifica.
Dove puoi dire questo è maggiore di quello, il tuo è minore del mio, io sono inferiore a te.
Ma ci serve veramente? Dobbiamo veramente far sì che tutta la scuola sia una grande gara governata da una grande classifica?
Purtroppo non ho risposte vere a questa domanda.
Non serve come motivazione, esistono molti altri strumenti: possiamo dare giudizi, premiare i traguardi raggiunti, o semplicemente cercare di trasmettere il bello di ciò che facciamo.
In fondo in fondo, non è nemmeno così fondamentale per trovare lavoro, che cosa ti dice che non ti possa dire una valutazione responsabile a tu per tu della persona, scoprendola anche attraverso quello che dicono di lei quelli che l'hanno conosciuta?

I percorsi scolastici, però, sono percorsi a livello di difficoltà crescente, e per riuscire ad affrontare il successivo devi essere padrone del precedente, o ti ritroverai davanti un gradino troppo grosso da superare, ti troverai senza strumenti di fronte ad un problema troppo difficile, e ti perderai.
Ed ecco che ti serve uno strumento che ti dica quando sei pronto e quando non sei pronto a passare al livello successivo, e questo strumento oggi è il voto, insieme con il giudizio degli insegnanti.
Ma davvero l'unico strumento che abbiamo è questo? Col rischio di stampare un numero nella memoria e nell'autostima di chi non è in testa alla classifica?

Sono sicuro, però, che dovremmo cercare di dare meno importanza ai voti. La prima cosa che un ragazzo racconta quando torna a casa non dovrebbe essere il voto preso, secondo me. E un ragazzo dovrebbe poter vivere con felicità e serenità la scuola anche con quattro in tutte le materie: primo, perché deve sapere di aver sempre la possibilità (e la capacità) di migliorare; secondo, perché non deve viverla come una colpa.
Io riesco a fare a malapena tre trazioni scarse alla sbarra prima di crollare, che potrebbe grosso modo essere un quattro per un qualsiasi frequentatore di palestra. Ma è colpa mia? Dovrei vergognarmi di questo, o esserne punito? Sto facendo del male a qualcuno? No! E' semplicemente lo stato delle cose, che dipende dal mio impegno ma anche dalle mie condizioni di salute, da come altre persone mi hanno spinto ad allenarmi e da come è fatto il mio corpo.
E così dovrebbe essere per i risultati in tutte le materie!
Certo, se non miglioro probabilmente non potrò fare l'acrobata, e questo può essere importante saperlo se devo decidere il mio futuro, ma non deve passare l'idea che un voto basso significa che il ragazzo ha sbagliato.


Altro pensiero.
L'uomo è fatto per correre.
Abbiamo due gambe con muscoli potentissimi, visione binoculare per una rapida percezione della distanza di ciò che ci circonda, raffinatissimi sensori per l'equilibrio, e siamo una delle pochissime specie di animali che ha ghiandole sudoripare sull'intera superficie corporea, per smaltire in modo estremamente efficiente l'enorme calore sviluppato dai nostri muscoli durante una corsa prolungata. Siamo letteralmente macchine per correre.
E noi teniamo tutti i nostri ragazzi, in piena età dello sviluppo, tutte le mattine per sei giorni alla settimana, dai sei ai diciannove anni, seduti ad un banco quasi senza interruzioni.
Quando andavo a scuola mi sembrava normale. Quando me ne sono reso conto, all'università, mi sono chiesto come sia possibile pensare un'assurdità del genere.
Certo, è un buon metodo per gestire un gran numero di studenti in spazi ristretti con poco personale.
Ma credo che dovremmo fare del nostro meglio per scardinare i nostri ragazzi dai banchi, e far sì che siano loro a muoversi, a fare, a esplorare, piuttosto che l'insegnante a spiegare.

Ancora un altro pensiero. Siamo quasi alla fine, anche perché la sera è diventata notte e il 10 giugno sta per diventare 11.
A scuola ci passano buona parte del loro tempo sia i ragazzi che gli insegnanti, ma anche il resto del personale scolastico. E i genitori, non fisicamente, ma moralmente e in quanto investiti dalla costituzione del compito di istruire i figli.
Eppure raramente ho visto una comunità così divisa come questa, in cui ogni fetta è come una fazione e gli altri gli avversari, in una sorta di grande, permanente tregua armata.
Santo Cielo, cerchiamo di comunicare un po' di più! Innanzitutto impariamo ad ascoltare le altre parti, prima di voler dire la nostra; e soprattutto noi adulti iniziamo per primi a farlo, non possiamo certo pensare di aspettare che siano i ragazzi a dare l'esempio! Abbiamo organi collegiali, usiamoli davvero come tavole in cui ognuno ha la stessa voce in capitolo e la stessa capacità di contribuire alle decisioni...
E, capisco che a volte tra genitori e insegnanti capirsi è una sfida, ma è una sfida così importante che merita almeno dieci volte l'impegno e il tempo che dedichiamo a tutta l'inutile burocrazia scolastica!

L'orologio segna i primi minuti dell'undici giugno, e forse è ora che io chiuda il computer.
Ho voluto lasciare questi pensieri perché mi sta a cuore dare il mio contributo per far crescere la scuola, perché nel bene e nel male il modo in cui facciamo crescere gli adulti di domani è, credo, il modo più efficace di cambiare il mondo.
Sono sempre molto critico ultimamente, ma vorrei ringraziare le (molte) persone che ho conosciuto e che stanno facendo davvero del loro meglio nella scuola, tra i miei colleghi, ma anche tra i miei studenti e tra le loro famiglie, perché mi rendo conto che fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo.
Sono anche loro il motivo per cui mi sento di dire di aver passato un anno facendo un lavoro bello, un anno che so di non aver sprecato.
Buona notte, e Buona Strada a tutti