giovedì 13 settembre 2007

La Staulanza ...

(...è una danza che si balla nella latitanza...)

Racconti d'Estate - Parte III - Giorno 2

Riprendo il racconto dei nostro clan in route di ''sopravvivenza'' da dove l'avevo lasciato: a dormire nel campeggio di Palafavera.

Non è che ricordi molto della mattina, probabilmente perché appena svegli, nell'aria gelata, con la colazione da preparare, gli zaini da fare e le tende da smontare, almeno il cervello chiede di essere lasciato un po' in pace.

I neuroni della memoria hanno ricominciato a funzionare appena usciti dal campeggio, in ricordo del quale ci siamo approppriati di grandi quantità di simpatici adesivi della civetta-mascotte della valle. Quel giorno avevamo una tappa tutto sommato breve, in teoria, ma ammetto che mi sono preoccupato un po' alle esclamazioni di "Oddio, lassù? No, ma è troppo lontano!" riferite al luogo scelto per le lodi: una collinetta alta tre metri dall'altra parte della strada.

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Visto che la teoria e la pratica raramente vanno d'amore e d'accordo, la tappa di quel giorno non fu troppo breve, sia perché il sentiero scelto seguiva grosso modo una linea retta verso la cima del Pelmo, sia perché a metà salita la Gio si accorge di essersi dimenticata come si fa a respirare.

Alla fine, merito anche di una lunga pausa che nessuno aveva intenzione di interrompere, siamo arrivati con un'ora di ritardo alla Staulanza, dove il povero Dede si girava i pollici da quando la corriera in una decina di minuti gli aveva risparmiato quelle poche centinaia di metri di dislivello che a noi erano costati tre ore e mezza.

Il primo problema da risolvere fu l'acqua: nonostante fossimo nella zona più piovosa d'Italia, nonostante fossimo davanti a un'importante strada di comunicazione, nel grande rifugio/albergo/ristorante Staulanza non avevano acqua da darci. Nemmeno per riempire due borracce da mezzo litro.

Così, mentre i capi riflettevano sull'opportunità di smuovere gli albergatori con l'odore del vile denaro, io, Simo e Dede (i due con il ginocchio fuori uso) ci siamo lanciati in una spedizione lungo una ripa spaccaginocchia alla ricerca di una fontana. La prima che trovammo era asciutta, la seconda era in una malga al cui padrone, da quello che ci ha fatto capire, avrebbe avuto tutti i migliori motivi per non farci bere, ma ci ha comunque lasciato fare, a patto che facessimo in silenzio e in fretta.

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Peccato che la malga fosse almeno 50 metri di dislivello sotto al prato dove tutto il clan era spaparanzato, così dopo essere tornati a riferire abbiamo organizzato un efficace mezzo di trasporto acqua addobbando Popo con tutte le borracce del clan.

Risolto il problema acqua, ci accorgemmo che, camminando solo la mattina, al pomeriggio non c'era nulla da fare. Ma proprio NULLA da fare. Per fortuna la noiosa routine tra prendere il sole e girarsi i pollici è stata spezzata da una scoperta che ci confortò anche solo come dimostrazione che non eravamo gli unici perennemente colpiti dalla sfiga: una coppia di turisti si erano accorti che la loro macchina si era chiusa, lasciando loro fuori e le chiavi dentro.
Erano riusciti ad aprire di qualche centimetro il finestrino davanti: non che servisse molto, visto che le chiavi erano nel baule. Da bravi scout, abbiamo cercato di dare una mano, anzi letteralmente infilare una mano per la loro causa, cercando di aprire la porta sbloccando il bottoncino che serve ad aprire le porte chiuse. Quella macchina però aveva un ottimo sistema antifurto: se si chiudeva, non si apriva nemmeno con i bottoncini che dovrebbero aprirla.
Stavamo per dare la partita come persa, quando il trio io Simo e Dede (mente, abilità e bella presenza) decise di lanciarsi in un'impresa tanto assurda quanto impossibile: "pescare" le chiavi, passando dalla fessura del finestrino davanti fino nel baule, con una canna improvvisata da un picchetto legato con lo scotch a un palo della tenda. Contro ogni previsione, ma d'altronde come ogni impresa impossibile e assurda, riuscì perfettamente.
Ci fruttò anche l'eterna gratitudine dei turisti e un pezzo di torta ai frutti di bosco, che venne divorata da tutto il clan in un tempo che si potrebbe misurare in una manciata di oscillazioni della radiazione dell'atomo di cesio.

La sera, al momento di trovare posto per le nostre tende, dopo aver constatato l'irraggiungibilità delle caverne della prima guerra mondiale, decidemmo di non sforzare troppo le nostre gambe e ci spostammo di qualche decina di metri da dove ci eravamo spaparanzati a mezzogiorno, sfrattando qualche coppietta che si godeva la pace della montagna sui resti delle fortificazioni del passo.

Ah ecco, mi stavo quasi dimenticando l'attività-clue della giornata. Dovete sapere che, essendo il tema di quella giornata "i barboni", e non contenti di aver già lasciato a casa tutto il lasciabile per via dell'essenzialità, la regola per la giornata era: si possono usare solo 15 oggetti, compresa la roba da mangiare e i vestiti indossati.
Peccato che, come per l'essenzialità, dopo qualche ora ci eravamo dimenticati del tutto dei quindici oggetti, e ce ne ricordammo solo al fuoco serale dove vennero puntati ad un grande, divertente, violento e improvvisato "casinò dei barboni".

Alla fine, anche la sera si concluse felicemente con una spontanea veglia alle stelle, alle nuvole passeggere e al freddo pinguino che tra un po' ci assiderava.

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