Bassa modenese, domenica mattina, nemmeno troppo presto.
Abbiamo abbandonato un'escursione in mezzo ai calanchi parmensi e fatto un'ora e mezza di strada per cercare di vedere Lui, il Nibbio Bianco, che - abbiamo sentito dire - sta passando l'inverno in queste pianure.
La strada diventa sterrata: la macchina avanza tra pianure e campi fino all'orizzonte sollevando una nuvola di polvere, tra le canne gli uccelli prendono il volo accanto a noi, un po' come se fosse un piccolo safari padano.
Il navigatore dice che ci siamo quasi: parcheggiamo la macchina, binocolo al collo e cannocchiale in spalla, e ci avviamo a piedi. E' una domenica di cielo sereno, e la luce accecante, il giallo delle canne secche intorno, la pianura vuota di gente e piena di silenzio, il tepore del sole ti fanno chiedere se sia inverno o se sia agosto. Se non fosse per l'aria pungente e gli strati di vestiti addosso, ci si potrebbe davvero perdere nel tempo, qui.
Ci guardiamo intorno: il posto è questo, dev'essere qui. Guarda, quello è proprio l'albero su cui - dicono - di solito si posa. Eppure di lui non c'è traccia. Una coppia di gazze, quasi per conferma, va a prendere possesso dell'albero.
Pazienza, lo aspetteremo, magari è a caccia da qualche parte e arriverà.
Magari invece è partito, e non lo vedremo mai.
Ci guardiamo intorno, inganniamo l'attesa. Campi, canali, filari di alberi spogli. Un casolare, pali del telefono, un piccione posato sui fili che guarda in basso.
Un piccione che guarda in basso?
Guardo a binocolo. E' lontano, è controluce, ma il dubbio c'è. Apro il cavalletto, punto il cannocchiale: il becco da rapace, l'occhio rosso dicono che è proprio Lui!
Cinque minuti di puro, silenzioso, frenetico entusiasmo, guardiamo, scattiamo a ripetizione, bisbigliamo commenti adoranti quando si tuffa verso terra e risale, infine si tuffa di nuovo e sparisce dalla vista.
Poco dopo iniziano ad arrivare altre macchine: la notizia girava, altri vengono a cercare una foto con l'ospite eccezionale, ma lui non si fa più vivo. Con un pizzico di soddisfazione per essere stati gli unici privilegiati ad averlo incontrato, lasciamo il campo agli altri, e ce ne andiamo a proseguire il nostro safari lungo le strade che costeggiano la palude.
Ci fermiamo ad ogni squarcio tra le canne: bianco di aironi, di cigni e di cicogne, riflessi verdi sul nero dei mignattai, il lungo becco curvo tra le canne degli ibis sacri, e più piccoli, quasi invisibili i beccaccini che si muovono tra il fango. Un gran frullare d'ali: prima venti chiurli si alzano dallo specchio d'acqua, poi è la volta delle pavoncelle, e infine centinaia di oche ci sorvolano, per poi posarsi di nuovo e passeggiare tra i prati.
Beviamo con gli occhi tutta questa natura e, proprio quando pensiamo di esserne sazi, appare una magnifica femmina di falco di palude che si concede in un volo lento e potente davanti a noi, tra il chiassoso disappunto delle folaghe.
Stiamo per andarcene, ma la palude vuole stupirci ancora: piumaggio grigio ghiaccio, "mano" nera, un maschio di albanella reale sfiora le cime delle canne; lo seguiamo, cercando di non perderlo di vista e di goderci quest'ultimo regalo.
Ormai è ora di partire: salutiamo la palude, lasciamo i fotografi e le loro auto alla ricerca di una difficile foto di un Nibbio Bianco lontano e in controluce, e ci avviamo lungo la strada di casa.
Quasi per abitudine, il binocolo punta verso un uccello posato lontano, che subito spicca il volo e si avvicina. La prima cosa che penso è che è un uccello che non ho mai visto. Almeno, mai prima di oggi. Quando si posa a breve distanza da noi, in cima ad un albero in luce perfetta, guardandoci dritti negli occhi, quasi quasi non ci crediamo, e scoppiamo a ridere: è ancora Lui! Alla faccia dei fotografi fermi da ore a cercarlo, il Nibbio Bianco ha voluto raggiungerci per un ultimo saluto!
La montagna è maestosa, bella, selvaggia, piena di vita, ma in un certo senso è prevedibile. Questa piatta distesa di campi e case e strade che si stende alle due sponde del Po, invece, ti stupisce con l'inaspettato. E' tutto fuorché incontaminata, è percorsa da secoli di popoli, usata, riusata, abbandonata e ripresa, modellata, bonificata e coltivata, protetta e distrutta quasi senza logica. Eppure è capace di sorprenderti con un incontro straordinario come questo.
E se il Nibbio Bianco è una rarità - per i birdwatcher accorsi a vederlo - o se preferite un solitario che si è perso, a migliaia di chilometri da qualsiasi altro individuo della sua stessa specie, attorno a lui la pianura continua a custodire uno spettacolo di oche, cigni, aironi, ibis e tutti gli altri pennuti, pelosi, squamosi, fotosintetici esseri che intrecciano le loro vite con le nostre, ai margini delle nostre, quasi senza farsi notare.
Noi abbiamo cercato il nostro Nibbio Bianco: l'abbiamo trovato. Ma soprattutto abbiamo trovato un luogo speciale di questa nostra pianura, e siamo riusciti a condividere un po' di bellezza del mondo - oltre che un abbondante piatto di tagliatelle.
Un saluto, e l'augurio che ci sia, ancora, un nuovo Nibbio Bianco da cercare.
Foto di Margherita Calcagno