sabato 24 luglio 2021

Ustica

Forse, una delle cose che spingono a visitare una piccola isola è l'illusione di poterla abbracciare tutta, vedere tutta, comprendere tutta. Che Ustica finisca lì dove le onde toccano la pietra, e che per un momento si possa dimenticare tutto ciò che sta al di là del mare.

L'illusione di poter, per qualche giorno, ridurre la complessità del mondo ad otto chilometri quadrati circondati da un mare di cui a stento scorgi la fine.


Ma guardando con occhi curiosi ti accorgi che quel puntino a stento visibile sulla carta è un nodo di una rete ben più grande, che lega tra loro pietre e acque, piante e animali, uomini e donne da una sponda all'altra del Mediterraneo. Mediterraneo che è, ed è sempre stato, più una strada che una barriera; Mediterraneo che unisce i popoli e le storie lungo le sue sponde più di quanto lo facciano le montagne che dividono le nazioni su di esso affacciate.

E' un nodo di pietre, lava e lapilli vomitati dal fondo del Tirreno mentre brandelli di Europa si spostavano a est, abbracciando l'Africa per formare l'Italia.

E' un nodo di rotte migratorie per gli uccelli che, dopo il deserto, attraversano il mare per raggiungere la loro Primavera. E nei millenni qualcuno di loro ha deciso anche di fermarsi, e di scegliere questo angolo di mondo come casa.

Pigliamosche, rocca della Falconiera

E' un nodo dove si intrecciano i fili delle vite vissute sott'acqua e sopra l'acqua, dove il marangone dal ciuffo attende sugli scogli di tuffarsi tra le castagnole, le donzelle pavonine e le cernie brune.

Marangone dal ciuffo, cala Sidoti

Castagnola, grotte di Ustica

E' un nodo di storie di uomini e donne, che già tre millenni fa costruivano la loro fortezza sulle scogliere di quest'isola; di uomini e donne che per motivi ormai dimenticati abbandonarono poi la loro casa prendendo la vita del mare. Di uomini e donne che si spostarono da un'isola all'altra portandosi dietro i loro santi, i loro nomi e la loro lingua. Di storie di pirati e di fortezze, di pietre deposte dai manovali dei Borbone e dai confinati del fascismo. Di storie di chi sull'isola ci è nato e ci rimane, di chi ha qui le sue radici ed è tornato a cercarle, di chi la incontra per la prima volta e di chi se ne è innamorato e ogni anno torna a respirarla.

E oltre a cogliere un briciolo di tutto questo, Ustica mi ha regalato ancora qualche momento di quella libertà che ho imparato a conquistarmi sul mar Rosso, quando sospeso tra l'aria e l'acqua voli spinto dalle pinne, con un cielo azzurro sopra e un cielo azzurro sotto, ognuno pieno di straordinaria vita.







Sviluppo insostenibile

Non c'è spazio per inseguire la crescita economica se desideriamo preservare quello che rimane della bellezza e dell'abitabilità del nostro pianeta.

Ma possiamo comunque costruire una società più equa, che sia casa per il bagaglio culturale che abbiamo ereditato e in cui si possa conservare almeno parte del benessere a cui siamo abituati, se rinunciamo alla crescita economica come condizione necessaria.

Non che la crescita economica sia necessariamente il male, e nemmeno che non sia più possibile: semplicemente non è l'obiettivo a cui dobbiamo tendere, ed è pericoloso continuare a inseguirla.




Cosa sta succedendo?

Sappiamo ormai bene che la nostra presenza sul pianeta sta modificando irrimediabilmente la biosfera che garantisce la nostra sopravvivenza:
  • l'uso dei combustibili fossili e l'allevamento su larga scala emettono gas serra che stanno andando a modificare il clima, con conseguenze che potranno essere catastrofiche sia direttamente per le popolazioni che abitano vaste zone della Terra, sia per gli ecosistemi che cambieranno, portando all'estinzione un grande numero di specie;
  • la trasformazione degli ecosistemi da naturali ad agricoli, e da agricoli ad urbanizzati, sta rapidamente causando la perdita di habitat per buona parte degli esseri viventi, spingendoli verso l'estinzione, e sta provocando la perdita dei servizi ecosistemici necessari alla nostra sopravvivenza (come ad esempio la fotosintesi, il sequestro dell'anidride carbonica, la creazione e il mantenimento del suolo, la degradazione biologica degli inquinanti, la biodiversità, l'impollinazione delle piante da parte degli insetti, ma anche i "servizi" meno materiali come la possibilità di apprezzare la bellezza della natura, possibilità senza la quale, credo, la vita avrebbe meno senso di essere vissuta);
  • le emissioni di sostanze tossiche e cancerogene nell'aria, nell'acqua e nel suolo, da parte di un gran numero di attività umane, stanno danneggiando direttamente la salute di milioni di persone che vivono negli ambienti più inquinati della Terra, come la nostra pianura Padana, oltre che - insieme con l'abbandono dei rifiuti - danneggiare gli ecosistemi e spingere le specie verso l'estinzione.
  • le risorse che consumiamo per alimentare il nostro sviluppo si stanno esaurendo: i combustibili fossili non sono infiniti e la loro estrazione costerà sempre di più, sia economicamente che ecologicamente; molti minerali di interesse industriale si trovano in poche zone del mondo e in quantità limitate, e per alcuni il pericolo che si esauriscano i giacimenti è concreto e vicino; l'acqua potabile è una risorsa rinnovabile ma scarsa, che in molte zone del mondo non è più sufficiente a soddisfare i bisogni delle popolazioni; il suolo coltivabile del nostro pianeta non è infinito, già stiamo sfruttando una buona parte di quello disponibile, e ne stiamo perdendo grandi quantità a causa della desertificazione e dell'urbanizzazione.
Tutto questo accade in una società umana nella quale esistono ancora enormi disparità, sia tra diverse aree del mondo sia tra persone della stessa area, nelle possibilità di avere una vita sana e sicura, di ricevere un'educazione di qualità, di partecipare alla costruzione della cultura e della politica della società.

Cosa c'entra la crescita economica?

Una crescita economica significa una crescita nella produzione di beni e servizi: questo significa anche un aumento degli impatti dell'uomo sull'ambiente e un consumo sempre più rapido delle risorse: in un anno produco 10 impattando 10, se l'anno successivo voglio produrre 12, impatterò 12.

Attraverso l'innovazione tecnologica posso ridurre gli impatti e le risorse necessarie a produrre i beni e i servizi che mi servono: se prima producevo 10 impattando 10, potrei, migliorando la tecnologia, produrre 12 impattando 11. Sarebbe molto bello se l'innovazione viaggiasse velocissima, e ci permettesse di aumentare la produzione di beni e servizi diminuendo nello stesso tempo gli impatti (quello che viene indicato come emission decoupling, riferendosi alle sole emissioni), purtroppo non c'è una reale evidenza che, a scala globale, sia già così o ci si possa arrivare a breve. Più la produzione di beni e servizi cresce, più gli impatti crescono.

Il nostro sistema produttivo è senza dubbio migliorabile, e potremmo, con qualche sforzo di cambiamento, produrre ciò che produciamo adesso impattando molto meno, ma questo non significa che l'innovazione tecnologica possa permetterci una crescita economica illimitata, a causa dei limiti fisici che la biosfera dell'unico pianeta che abbiamo ci impone.

Senza dubbio l'innovazione tecnologica è una strada da seguire, ma continuare a scommettere su una crescita illimitata spinta da un'innovazione tecnologica che, fino ad oggi, non è mai riuscita a disaccoppiare crescita economica e crescita degli impatti, mettendo a rischio l'abitabilità del nostro pianeta, è da incoscienti, quando non è fatto in malafede.

Ma a chi serve la crescita economica?

Ci serve davvero produrre beni e servizi ad un ritmo più veloce rispetto a quanto già facciamo ora? Se lo mettiamo su un piatto della bilancia, e sull'altro piatto ci mettiamo i danni che questa crescita comporta, da che parte pende la bilancia?
Certo, nel mondo ci sono milioni di persone in estrema difficoltà che avrebbero bisogno di cibo e servizi essenziali. Ma ci sono anche decine o centinaia di migliaia di persone che hanno ben di più di quello che è necessario per avere una vita lunga, piena e felice. Il prodotto mondiale lordo, pro capite, a parità di potere d'acquisto è quasi 18 000 $ annui, circa quanto quello della Cina o dell'Argentina, e poco meno della metà di quello italiano (circa 41 000 $ annui). Se i beni e i servizi che già oggi produciamo fossero equamente distribuiti i paesi "occidentali" dovrebbero accontentarsi di meno di quello a cui sono abituati, ma tutta l'umanità avrebbe di che sopravvivere in modo dignitoso.

Questo è ancora più vero se consideriamo solo "casa nostra": se le ricchezze fossero equamente distribuite all'interno del Paese, i 41 000 $ annui pro capite italiani sarebbero più che sufficienti a garantire a tutti un'esistenza più che dignitosa.

La ricchezza per garantire il benessere di tutti la abbiamo già, dobbiamo fare in modo che tutti possano goderne, e dobbiamo imparare a produrla chiedendo meno alla nostra Terra e restando all'interno dei limiti di quello che ci può offrire.

Chi è davvero interessato alla crescita economica è il nostro sistema economico basato sul debito: nello scorso secolo di crescita sfrenata alimentata dal petrolio, quando sembrava che non sarebbe mai finita, tutti si sono abituati a scommettere sul fatto che domani avrebbero guadagnato più di oggi, chiedendo finanziamenti e indebitandosi. Gli Stati per primi si sono lasciati inebriare da una gestione in deficit, scommettendo sul fatto che la crescita economica perpetua avrebbe sempre portato, l'anno successivo, più tasse di quelle dell'anno in corso. Questo ha funzionato egregiamente finché la crescita c'è stata, al prezzo della vorace devastazione delle risorse del pianeta, ma ora che le risorse iniziano ad esaurirsi, e che altre nazioni hanno preso lo scettro dei divoratori più voraci, per quanto potrà funzionare?

Che cosa si può fare, secondo me


Ridistribuzione della ricchezza, conversione dell'economia

Per avere una vita dignitosa tutti dobbiamo accedere alla possibilità di sfruttare un po' delle risorse naturali del Pianeta per soddisfare i nostri bisogni e crescere come persone libere: cibo, casa, vestiti, salute, educazione...
Oggi, le troppe risorse che strappiamo al Pianeta sono negate a parte della popolazione, per andare a soddisfare desideri tutt'altro che essenziali di un'altra piccola parte della popolazione.
Senza bisogno di strappare ulteriori risorse, che il Pianeta non è più in grado di offrirci senza compromettere la sopravvivenza delle generazioni future, possiamo soddisfare i bisogni della parte della popolazione più in difficoltà dirottando verso di loro le risorse che oggi vengono sprecate, usate male, o consumate per soddisfare bisogni non essenziali della parte ricca del mondo.
Questo può essere fatto - e almeno in parte deve essere fatto - attraverso le tasse e Stati che forniscano i servizi essenziali a tutti i cittadini, ma può anche essere fatto attraverso una trasformazione del mercato, chiamiamolo Green New Deal se volete: chiediamo a chi ha i soldi (noi compresi) di spendere in beni e servizi con un minimo impatto ambientale ma ad alto contenuto di lavoro, creando così posti di lavoro senza dover aumentare le risorse da strappare al Pianeta. Meno SUV, meno ville e meno crociere, ma più arte, più cultura, più investimenti ecologici. Esistono diversi strumenti per spingere il mercato in questa direzione: disincentivare beni e servizi ad alto impatto ambientale, incentivi per i loro opposti. Il punto fermo è che dobbiamo ridurre, non aumentare, l'impatto complessivo della nostra economia.

La madre di tutti i problemi

Sostenere lo sviluppo umano delle aree del mondo e delle fasce di popolazione più in difficoltà è necessario anche per affrontare il problema centrale da cui discende tutto il resto, cioè la sovrappopolazione. Sul pianeta Terra non possono continuare a vivere a lungo sette miliardi e mezzo di persone con questo stile di vita: dobbiamo cambiare stile di vita e nel frattempo dobbiamo evitare di aumentare ancora, perché più aumentiamo più i nostri impatti sono grandi. Combattere la sovrappopolazione non significa necessariamente un controllo delle nascite imposto con la forza: basta fornire una educazione adeguata, liberare le persone da vincoli culturali che impongono famiglie numerose e ostacolano la contraccezione, e mettere le donne in condizione di poter decidere liberamente della propria vita e del proprio futuro.

Smettiamo di scaricare il barile sugli altri

I nostri paesi "occidentali", di prima industrializzazione, stanno ricorrendo pesantemente all'importazione di prodotti - spesso non prodotti finiti ma semilavorati o materie prime - da paesi di più recente industrializzazione, dove la manodopera costa meno e soprattutto i vincoli ambientali e sociali sono meno rigidi. Occhio non vede, cuore non duole, insomma. Questo ha anche l'effetto di far sembrare "virtuose" le nostre economie, quando in realtà non lo sono: ci teniamo le produzioni a minor impatto ambientale, sembrando ecologici, quando in realtà abbiamo solo spostato altrove le parti più impattanti della produzione, in luoghi dove il loro impatto si moltiplicherà.

Questa delocalizzazione della produzione ha anche il pesantissimo effetto di creare disoccupazione nei nostri paesi, e costringere le nostre imprese a subire una concorrenza sleale da parte di imprese in altre parti del mondo che possono fare profitto senza i vincoli a cui le nostre devono sottostare.

E' necessario, secondo me, che a livello europeo qualsiasi accordo di importazione preveda che vengano importati esclusivamente beni e servizi da paesi con tutele ambientali e sociali almeno equivalenti a quelle europee, oppure da imprese che garantiscano queste tutele alla comunità dove operano.

Disintossichiamoci dalla crescita

Dobbiamo sanare le nostre economie dalla dipendenza dalla crescita, arrivando al pareggio di bilancio. Finché i nostri bilanci si chiuderanno con un deficit, avremo bisogno di crescita economica per poter pagare i nostri debiti l'anno successivo e continuare ad avere i finanziamenti che ci servono, ma così ci costringiamo a chiedere sempre di più dal Pianeta, e prima o poi il Pianeta ci dirà basta - e in tante piccole e grandi cose ce lo sta già dicendo.
Se ci liberiamo del deficit, saremo liberi di scegliere se crescere o no, e potremo decidere di farlo solo se e quanto l'innovazione tecnologica ci consentirà di farlo riducendo nel contempo gli impatti.

Stop al consumo di suolo

In Italia il suolo è una risorsa preziosissima, e la cementificazione avanza ad un ritmo rapidissimo. Stiamo perdendo alcuni tra i suoli più fertili del pianeta, e le nuove aree residenziali stanno nascendo secondo lo schema più insostenibile, quello che si chiama sprawl urbano: edifici di piccole dimensioni sparsi e poco collegati in vaste aree lontano dai centri urbani, consumando moltissimo suolo per ciascuna unità abitativa e costringendo le persone a muoversi in auto per grandi distanze. Occorre, credo, imporre lo stop completo alla trasformazione del suolo da agricolo o naturale a edificato, sia per edifici che per infrastrutture, senza eccezioni, su tutto il territorio italiano (e probabilmente anche in gran parte d'Europa). Qualsiasi nuova costruzione deve essere fatta ristrutturando, rimpiazzando o riqualificando quartieri esistenti.

Abbandonare i combustibili fossili

Dobbiamo abbandonare al più presto i combustibili fossili. Questo può essere fatto in diversi modi, ma credo che il più semplice ed efficace sia una carbon tax. In Europa esiste già il meccanismo ECTS, occorre modificarlo ed estenderlo a tutti i combustibili fossili, applicando una tassa che crescerà di anno in anno, arrivando a rendere l'uso dei combustibili fossili antieconomico. Questo dovrà essere fatto in modo uniforme su tutta l'area economica europea, in modo da non creare concorrenza sleale. Attraverso il denaro ricavato dalla carbon tax occorrerà incentivare la trasformazione del sistema produttivo in modo da fornire alternative accessibili ai combustibili fossili.

Le strade ci sono già

Parlando del nostro Paese, le strade che ci servono le abbiamo già. Quello che ci serve non sono nuove strade e nuove autostrade, ci serve che le strade siano sicure e funzionanti, che i ponti siano aperti e sicuri, e soprattutto che ci sia un trasporto pubblico che permetta a tutti di lasciare a casa l'auto. Costruire nuove strade non riduce l'inquinamento - sì, ho sentito dire anche questo -, incentiva la domanda di mobilità stradale, distrugge gli ecosistemi e incentiva ulteriore consumo di suolo e ulteriori impatti con la nascita di quartieri industriali e residenziali in aree che altrimenti rimarrebbero naturali o agricole perché poco collegate e quindi poco appetibili. Alle persone e alle aziende esistenti non servono nuove strade, serve che quelle che ci sono funzionino, che le merci si spostino su ferro e non su gomma, che ci sia una logistica più efficiente, che le persone dei centri minori non debbano spostarsi in città per avere i servizi, che le abitazioni in città siano ad un prezzo accessibile.

Le azioni individuali non bastano


I comportamenti virtuosi sono essenziali e sono un esempio, ma non bastano. Occorre che si muovano le istituzioni, e poiché per fortuna viviamo in un paese democratico, le istituzioni si muovono se, e dove, i cittadini chiedono loro di muoversi. Occorre che ci impegniamo, che ci riappropriamo di quella politica che non è una cosa cattiva, ma è imparare a costruire insieme la casa comune, il mondo che vogliamo.