lunedì 27 agosto 2007

Sole, rovi e vespe

Racconti d'estate - Parte II

E' passato solo un mese e 4 giorni, ma mi sembra passato un anno da quella mattina del 23 agosto quando mi sono trovato là, davanti all'ingresso del San Leonardo, io, mia madre e il cannone, e nessun altro intorno. In anticipo, naturalmente.
Il senso di essere completamente fuori luogo si sciolse quando un'altra macchina si infilò nella stradina depositando il Carcio e il suo zaino. Almeno, se anche avessi sbagliato il posto, non sarei stato il solo.

Dopo un quarto d'ora buono di attesa, scoprimmo che effettivamente avevamo sbagliato il posto, ma solo di un centinaio di metri: dall'altra parte della chiesa gli altri stavano cominciando ad ammassare fuori dal garage le montagne di materiale da caricare sui camioncini.
A proposito delle montagne di roba, man mano che le caricavamo sul furgoncino mi domandavo quanta cavolo di roba servisse per un campo. Non so se sono io che ricordo male, se è il PR2 che ha usanze diverse dal PR5, o se era perché non avevamo fatto nessun precampo, ma io non ricordo che ci fossero mai voluti un camioncino, un pick-up e un fuoristrada per portare su cibarie, tendame e casse varie (contando che non avevamo né un palo né un'asse, tutta roba che avremmo trovato là).
Quando, dopo aver finito tutto il caricaggio del furgoncino, dopo aver fissato tutti gli oggetti penzolanti con tecniche più o meno ortodosse, dopo aver legato tutto con accurati quanto improbabili giochi di corde, ci siamo accorti che c'erano ancora fuori una mezza dozzina di pianali che sarebbero dovuti essere caricati prima di tutto il resto, mi sono 'improvvisamente accorto' che il pullman stava per partire, e ho lasciato che fossero i rimasti a occuparsi di quella 'piccola' questione.

Il viaggio, che si preannunciava lungo e massacrante, è invece filato liscio come l'olio, almeno fino a Tredozio. Lì abbiamo scoperto che la frazione di San Valentino, nostra meta, aveva la spiacevole caratteristica, oltre a non comparire nel navigatore satellitare dell'autista, di non essere raggiungibili da mezzi pesanti più di 2 tonnellate, o più lunghi di 9 m. E il pullman era una bestia di 11 metri e una dozzina di tonnellate.
Così ci siamo ritrovati come un branco di puffi deportati ad affollare la banchina della fermata dell'autobus appena fuori da Tredozio, a 7 km e tanto sole dalla nostra meta.
Curioso scherzo del caso, proprio in quel momento è passato un camioncino carico di pali che era, guarda caso, proprio del simpatico signore che stava venendo a portarci i pali per il campo. Il simpatico signore e io abbiamo intrattenuto una lunga e piacevole discussione sul fatto che lui era finalmente venuto lì, che aveva i pali, che voleva sapere chi era quella ragazza che l'aveva chiamato dicendo che lui avrebbe dovuto essere su alle 11 mentre lui era lì adesso all'una, che sì in effetti però prima aveva detto che sarebbe stato lì alle 11, ma che si era dimenticato, che potevamo caricare qualche zaino sul furgone, ma che voleva che qualche responsabile venisse su con lui, e che voleva che arrivasse la cassa perché senza soldi non si ragiona, eccetera eccetera eccetera.
Tutto questo fermi su un ponticello largo 10 cm più del camioncino. Almeno finché una macchina di passaggio non ci ha costretti a spostare la nostra chiacchierata qualche metro più avanti.

Alla fine ho lasciato andare il Carcio in compagnia del simpatico signore, la Monia è rimasta sulla banchina a fare da guardiana agli zaini, e l'Ila, io e i ragazzi ci siamo incamminati sulla strada, destinazione San Valentino. Ed è così che abbiamo fatto conoscenza con la prima delle quasi onnipresenti 'piaghe' che ci avrebbero fatto compagnia durante il campo: il sole.
Dopo le prime curve in ripida salita, ci siamo accorti di non aver detto ai ragazzi di prendere su le borracce. Abbiamo liquidato la questione con un "va beh, tanto non dovrebbero servirci".
Dopo un po' abbiamo cominciato a chiederci se avremmo trovato una fontana.
Dopo un altro po' mi sono lanciato in avanscopera per vedere se la fontana segnata sulla carta funzionava ancora...
...di ritorno dal sopralluogo, ai ragazzi non ho detto nulla per non provocare il panico.
Ad un certo punto, abbiamo deciso che, appena passavano le macchine a caricare gli zaini, gli avremmo chiesto di portarci dell'acqua.
Quando siamo arrivati alla prima casa, non abbiamo nemmeno fatto in tempo a dire "Bussate per chiedere se ci possono dare dell'acqua" che almeno una ventina di ragazzi erano già ammassati contro una fontanella nel giardino.
A quel punto, abbiamo deciso che non c'era nessun bisogno di proseguire a piedi, e abbiamo pazientemente atteso che i cambu ci venissero a prendere in macchina.

Raggiunto il campo, dopo un primo tratto scarrozzati dalla neopatentata Martina con la sua Aygo ancora pulita, e un secondo entusiasmante rally sul cassone del furgoncino, con tanto di giro turistico per le ripidissime carraie dei monti faentini causa strada sbagliata, abbiamo incontrato la seconda terribile piaga: i rovi. Il campo era una lunga, larga salita al sole piena di rovi.

Il primo giorno è stato dedicato alla sistemazione dell'indispensabile per superare il primo giorno di campo, ovvero la cambusa, le tende e le amache, e a recuperare altri pali e assi dalla sede del gruppo scout di Modigliana. Io, in compagnia della sezione maschile della cambusa (il Gio e Rocco), ci siamo offerti volontari per la seconda missione. Era uno sporco, faticosissimo lavoro tirare fuori 40 assi di 4 metri e otto tronchi d'albero da uno stretto, polveroso magazzino pieno di qualsiasi cianfrusaglia, ma almeno ci ha permesso di berci due litri di Estathé a testa.

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Il secondo giorno è stato il giorno del vento.
Appena alzati, il cielo non prometteva nulla di buono, ma i lavori di allestimento del campo sono proceduti normalmente.
E' stato alla fine dello spostamento della Montana dalla posizione provvisoria a quella definitiva che ci siamo accorti che il vento avrebbe potuto essere un problema, quando entrando dentro alla tenda montata ci si accorgeva dei pali che, sotto la forza della tenda che faceva da vela, avevano preso la forma dell'arco pronto a scoccare.
Mentre ci ingegnavamo su un sistema per riparare alla mancanza di quasi tutti gli elastici per legare la tenda alla paleria in modo decente, è arrivata la notizia della prima vittima: il sovrattelo delle Volpi non aveva retto alla furia del vento.
Giusto il tempo di raggiungere la cima della collina, dove stava l'angolo Volpi, constatare i danni e tornare giù, ed ecco che là, su quel balcone di terra affacciato sulla valle che è l'angolo dei Puma, si vede un grande aquilone verde svolazzante rincorso da diverse figure agitate intente a frenare il suo volo, accompagnando il tentativo con urla non troppo consoni a un bravo scout cortese. Seconda vittima del vento.
Vento che, ovviamente, dopo aver strappato due sovratteli e fatto spostare due angoli per ragioni di sicurezza, se n'è andato soddisfatto e non si è fatto più sentire per il resto del campo.

In compenso, è arrivata, pian piano, la terza piaga: le vespe.
All'inizio erano pochissime. Una o due, ogni tanto.
Poi qualcuna deve aver dato la notizia, all'alveare, che su in cima alla collina c'era il paese dei balocchi. Ed è cominciata l'invasione.
In tenda materiale cominciava a formarsi la fila di ragazzi bisognosi di dopo-puntura all'ammoniaca: chi con una puntura, chi con due o tre, chi sembrava colpito dalla varicella.
La cambusa era protetta dalla trappola partorita dal genio di Rocco: un pozzo alla marmellata che mieteva ogni giorno decine di vittime.

Ma tutto questo può considerarsi ordinaria amministrazione, in un campo di reparto.
Quello a cui non eravamo preparati, era

la Casa del Terrore, ovvero "Non ditelo ai ragazzi!"

dovete sapere che, a un chilometro o due dal campo c'era, appunto, San Valentino, che consisteva semplicemente in una solitaria chiesa in mezzo al bosco con annessa canonica/casa scout. Questa casa era la nostra riserva di cibi deperibili (essendo dotata di frigo), e sarebbe poi stata la casa del branco, quando la settimana successiva ci avrebbero raggiunto anche i lupetti.

Vederla dall'esterno sembrava una normale, vecchia casa. Al massimo dava un'aria un po' strana il giardinetto alberato davanti, dal cui terreno ogni tanto sbucava un vecchio selciato in pietra, e uno strano crocifisso che (dicono) ti si parava davanti appena giravi l'angolo (ma io l'angolo non l'ho mai girato, e il crocifisso non l'ho mai visto).

Le cose davvero inquietanti sono cominciate con la prima visita dei cambusieri all'interno della casa: una casa enorme, piena di stanze e di strani rumori, con una scala buia che scende a un vastissimo piano sotteraneo, con una falce appesa al muro, un forno a cui viene spontaneamente da aggiungere l'aggettivo "crematorio", una porta ad arco sbarrata da un cancello di ferro con le punte, e dietro uno stanzone pieno di tronchi...
Ecco, in questo posto accogliente, si narra che il Gio e Rocco stavano leggendo ad alta voce una targa, posta nell'ingresso di fianco a una foto di gruppo con tanto di ragazza dalla faccia deformata, che raccontava di un gruppo di partigiani nascosti in questa casa, che rimasero qui a lungo finché i nazisti non li scovarono e li massacrarono, e concludeva con la frase lapidaria: "ma l'ombra del partigiano rimarrà per sempre in questa casa".
Nel momento stesso in cui leggevano ad alta voce questa frase, un topo attraverò di corsa una stanza davanti alla Martina, lì di fianco a loro, che lanciò un urlo terrorizzato: il risultato è che in men che non si dica tutti e tre erano fuori dalla casa.

La spirale del mistero naturalmente non si poteva fermare qua.
Durante i miei viaggi alla ricerca di un posticino ameno che potesse sopperire alla mancanza di una tenda nera, avevo scovato, proprio di fianco al nostro campo, un minuscolo, misterioso campo di grano in mezzo al bosco, affacciato su un dirupo, con dei rami staccati curiosamente messi di traverso tra gli alberi, un piccolo capanno mimetizzato con rami secchi, e tre croci di ferro che spuntavano in mezzo alle spighe.

Mentre ipotizzavamo chi potesse essere seppellito in quell'inusuale cimitero, i nostri animi vennero scossi da un inspiegabile ritrovamento di un sacchetto con cibo putrescente in mezzo alla nostra riserva di cibo nella casa. Ci chiedevamo come diavolo potesse essere finito lì, visto che prima non c'era, nessuno di noi ce l'aveva messo e la casa era sempre chiusa a chiave.

Il culmine lo raggiungemmo la sera in cui tre squadriglie di un reparto accampato dall'altra parte della valle vennero nella nostra zona in hike. In teoria solo una squadriglia avrebbe dovuto fermarsi a dormire da noi: una si sarebbe fermata più avanti, e l'altra si sarebbe accampata... proprio davanti alla casa.
Tutto sembrava andare normalmente, quando, dopocena, vediamo arrivare dalla stradina che porta alla casa le ragazze, senza zaini, in lacrime. Si erano allontanate per un attimo lasciando gli zaini davanti alla casa, e al loro ritorno tutta li avevano trovati aperti e sparsi tutt'intorno.
A quel punto è stato il delirio. Ci siamo tenuti quasi seri appena il tempo di dire alla squadriglia che avrebbero dormito qua stanotte, e che i cambu avrebbero recuperato i loro zaini, poi anche la staff è andata completamente nel panico. La Franci che girava con le mani nei capelli, Miki e Fede che si muovevano sempre in coppia e armati, l'Ila che se non aveva sempre tutti a portata di vista andava in crisi, io che avevo tanta adrenalina nel sangue che ormai ero convintissimo di essere dotato di superpoteri.
In preda al delirio più totale, quei momenti in cui rotoli in terra dal ridere e dalla paura, abbiamo deciso che in realtà le ragazze di quella squadriglia erano fantasmi, i loro corpi erano sepolti giù nel cimitero del campo di grano, e che erano qui per assaltarci di notte e renderci tutti come loro.

Capite bene che poi quella notte lì, dopo il fuoco, quando abbiamo visto due ragazze di quella sq aggirarsi in modo incomprensibile per il campo, muovendo una torcia senza una chiara logica, e adducendo come unica spiegazione che "una ragazza aveva mal di stomaco", beh, non ci siamo sentiti troppo a nostro agio.


...


Image Hosted by ImageShack.usCome è andata a finire, non lo so.
Io e il Carcio ce ne siamo andati il 27, causa partenza per la route, dimenticandoci di lasciare al campo le fotocopie delle cartine per i ride dopo che l'originale era diventato introvabile. Comunque sia i ride gli hanno fatti, quindi in qualche modo ce l'hanno cavata.

So solo che, più di una settimana dopo, addirittura dopo la route, siamo andati a trovarli al loro ritorno a Parma, e c'erano tutti.
Tutti tranne la Franci.





























(che arrivava dopo perché si era scordata le chiavi!!!) 

sabato 18 agosto 2007

Cosa si fa per un cannone

Racconti dell'estate - parte I


Non ero troppo preoccupato per l'orale di Fisica Generale II del mattino dopo, il 19 luglio.
O, almeno, non avevo nessunissima voglia di mettermi a ripassare (ovvero dare una seconda occhiata alle pagine di wikipedia, visto che non mi sono mai preso la briga di comprare il libro).
Era molto più entusiasmante pensare che di lì a tre giorni sarebbe cominciato il campo estivo. Il mio primo campo estivo da rover, finalmente un campo estivo dopo lunghi anni senza stringere una legatura fino a tatuarsi le mani con la corda o sentir echeggiare per il campo "Pentoleincambusaaa!!!".

Già che mi ero perso il pomeriggio di allenamento montaggio tende di staff con annesso servizio fotografico e bagno in piscina, volevo assolutamente dimostrare al mondo che anch'io contribuivo alla preparazione di questo campo, così mi sono lanciato nella costruzione del cannone: oggetto assolutamente essenziale per l'ambientazione piratesca scelta, soprattutto se viene usato solo una volta, e per giunta nel buio più totale.

Passai il pomeriggio a progettare, ottenendo una bozza molto approssimativa dato che non avevo idea di che pezzi avrei potuto trovare in giro. Ma ero pieno di speranza: legno ne avevo in abbondanza in casa, e in teoria avrei dovuto essere capace di tagliarlo; roba da ferramenta sapevo dove comprarla, e avevo l'ingenua convinzione che i tubi di plastica di diametri sui 12 - 15 cm te li tirassero dietro in qualunque garage/negozio/brico/cantiere e simili.


Il giorno dopo, reduce da un 28 e "il ragazzo ragiona splendidamente, ma il libro non l'ha nemmeno guardato", sono partito per un giro di perlustrazione con destinazione Ghirardi/Brico.
Sono tornato con due notizie per me stesso, una buona e una cattiva: la buona era che Ghirardi aveva prezzi più bassi del Brico su tutti gli articoli di ferramenta che mi servivano, la cattiva era che i tubi di plastica di diametri sui 12 - 15 cm non te li tirano affatto dietro. Anzi al brico per un metro di tubo devi spendere come minimo 6 o 7 euro.
Poche cose riescono a stressarmi di più di girare per negozi; inoltre la sera avevo l'ultima imperdibile staff di preparazione al campo, così ho rimandato gli acquisti al giorno successivo.

Non avevo però pensato che il giorno successivo era un sabato.
E Ghirardi chiude al sabato.
Così mi sono presentato al Brico con un progetto dettagliatissimo (persino i diametri e le lunghezze delle viti, mi ero segnato), che contava una quantità esorbitante di gaffette, carrucole, catenine, piastre e compagnia bella, che probabilmente se le avessi comprate tutte al Brico avrei messo in pericolo le mie finanze personali (che in realtà già traballano se ho voglia di gelato, ma fa lo stesso).
Ho deciso di ingegnarmi, e ho cominciato a inventarmi dei modi per eliminare pezzi dal progetto, scoprendo che un sacco di componenti erano totalmente inutili e sarebbe stato molto più semplice risolvere, ad esempio, con qualche foro nel legno.
Alla fine sono uscito dal Brico con in mano una frazione infinitesima dell'iniziale lista della spesa, e per giunta di quello che avevo comprato, una buona metà non l'ho nemmeno utilizzata.

Rimaneva però un problema: non avevo il tubo (naturalmente non avevo sborsato 7 euro per un fottuto tubo di plastica). E considerato che il tubo era la canna del cannone, era un problema discretamente grosso.
Comunque, sempre fiducioso nella provvidenza, mi sono avviato verso un cantiere di fianco a casa mia. In un cantiere avranno sicuramente tonnellate di grossi tubi di plastica da buttare, pensavo.
Infatti, dopo aver scomodato tutti gli operai prima di trovare il capocantiere, ho scoperto che era così.
Peccato però che li avessero già buttati tutti. Il giorno prima.

Ho cominciato a girare per la città in macchina come un assatanato, destinazione un non meglio specificato ingrosso di materiale edilizio nelle vicinanze dell'Highlander.
Vedevo tubi ovunque. Non avevo mai guardato con così tanta attenzione l'arredo urbano di Parma prima di allora. Ogni singolo oggetto di forma allungata attirava il mio sguardo, e mi domandavo se qualcuno di quelli avesse mai potuto fare al caso mio.
Poi, arrivato in via Spezia, li ho visti. Decine, centinaia di tubi di plastica. Non erano solo quello che cercavo: erano esattamente quello che avevo pensato la prima volta che mi era venuto in mente di ricavare un cannone da un tubo di plastica.
Ma il cancello inesorabilmente chiuso sembrava deridermi.
Anzi, stava chiaramente sghignazzandomi in faccia, lo sentivo benissimo.

Sconsolato, ho ripreso la macchina, tornando verso casa nella sera ormai inoltrata.
Meditavo di un possibile furto notturno all'ingrosso edile, pensado chi avrei potuto assoldare come complici, quando sono ripassato accanto al cantiere.
Per sfizio, ho voluto scendere e dare un'occhiata. Gli operai se n'erano andati ormai.
Quando ho visto quel tubo sporco, mezzo sepolto dalle macerie contro la righiera, mi sentivo come il protagonista di una favola quando leggi le parole "e tutti vissero felici e contenti".
In quel momento, era tutto ciò che desideravo dalla vita.
Un tubo di plastica diametro 110 mm.


La domenica è stato il giorno del lavoro manuale: di buon mattino, in bici con metro in tasca e seghetto in mano, sono andato al caniere e mi sono impossessato di quello strabenedettissimo tubo;
poi ho aperto il garage e mi sono preparato per una lunga, intensa giornata di fatica.
Finché si è trattato di tagliare dei materassini e incollarli al tubo, è stato facile.
Me la sono cavata anche quando si è trattato di tagliare le forme squadrate del sostegno con il segehetto alternativo: faticoso, ma semplice.
I guai sono arrivato con i tagli circolari.
Non mi ero mai chiesto prima come cavolo si facesse a tagliare il legno a cerchi. Per fortuna mio padre sa tutto e mi ha mostrato l'ennesimo gioiellino della nostra officina: una buffa punta di trapano che sembra un compasso e incide cerchi fino anche a una ventina di cm di diametro. Peccato che oltre a essere utilissima sia anche difficilissima da usare, soprattutto se il pezzo che devi tagliare ha un buco al centro che ti costringe a fare improbabili incastri con pezzi di scarto e fogli di cartone.
A fare la scanalatura nella camera di scoppio del cannone in modo che si infilasse sul tubo, ce l'ho cavata. Ma quando, accingendomi a tagliare la prima ruota, la lama della punta-compasso è schizzata via rimbalzando numerose volte sulle pareti dell'officina, ho deciso che non era il caso di rischiare la vita (o la vista) per qualche stupida ruota.
Così ho imbracciato il seghetto alternativo, e che le ruote si scantino se non sono perfettamente circolari.

Chili di trucioli e litri di sudore dopo, a fine giornata il cannone era finito.
O meglio, diciamo che così sembrava un cannone e non avevo nessuna voglia di aumentare ancora la somiglianza. Così, soddisfatto, ho potuto dedicarmi alle ultime cosette. Del tipo organizzare la route, cenare (alle 10 e mezza di sera), fare da zero lo zaino per il campo e preparare i ride per le squadriglie.


Che il cannone fosse già mezzo rotto il primo giorno di campo, che perdesse ovunque le ruote non mi importava.
Non mi importava nemmeno che la Monia avesse fatto senza problemi 50 e passa dobloni usando la stessa stramaledetta punta da trapano, e io ero a malapena riuscito a tracciare una scanalatura in un pezzo di legno, ustionandomi anche il dito nel togliere i trucioli dalla punta incandescente.
Nemmeno che quel giocattolone sarebbe stato usato poco o nulla.

Mi importava solo che l'avevo fatto io, l'avevo finito.
Ero felice, e mi bastava.